Usa

Trump, la Corte suprema salva due miliardi di fondi Usaid

Il massimo organo della giustizia americana ha respinto un ricorso del Governo contro un ordine di un tribunale minore che obbligava Washington a sbloccare due miliardi di dollari per il pagamento di programmi già avviati. Ma è un successo limitato: «È una magra consolazione», dice Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione delle ong italiane, che dà solo «la certezza che non ci possono essere dei tagli retroattivi». Quanto all’impatto che lo sblocco avrà, Stilli è dubbiosa: «È una cifra minuscola rispetto al totale»

di Francesco Crippa

Una piccola ma simbolica vittoria per il mondo della cooperazione internazionale: la Corte suprema degli Stati Uniti ha respinto il ricorso presentato dall’amministrazione Trump contro una sentenza di un tribunale minore che obbligava il Governo a sbloccare immediatamente due miliardi di dollari di pagamenti per gli aiuti esteri. Una decisione che ha spaccato il massimo organo della giustizia americana: cinque i giudici favorevoli, quattro quelli contrari. A essere determinanti sono stati, in particolare, i voti di due giudici conservatori: John G. Roberts Jr. e Amy Coney Barrett, si sono schierati con i tre magistrati liberali, portando così la Corte al suo primo intervento di rilievo contro il Governo da quando Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato. 

Il 20 gennaio scorso, non appena insediatosi Trump ha firmato un centinaio di ordini esecutivi tra cui la sospensione per 90 giorni dell’erogazione di tutti i fondi destinati ai progetti di cooperazione umanitaria e sviluppo eccezion fatta per gli aiuti alimentari d’emergenza e per i finanziamenti militari a Israele ed Egitto. Un atto motivato con esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica che però aveva gettato nel panico gli operatori del settore in tutto il mondo. Gli Usa, infatti, assorbono da soli più del 40% della spesa globale in aiuti umanitari: 13,9 miliardi di dollari nel 2024, che schizzano a circa 70 se si considerano altri settori come educazione e sviluppo. Lo sblocco di due miliardi imposto dalla Corte suprema appare, dunque, di portata limitata, anche perché si tratta di denaro che serve a pagare del lavoro già svolto e non ad avviare nuovi progetti. «Siamo felici, ma è una magra consolazione. Diciamo che, almeno, oltre al danno non c’è stata la beffa», commenta con VITA Silvia Stilli, portavoce di Aoi – Associazione delle ong italiane. «Con questa sentenza c’è la certezza che non ci possono essere dei tagli retroattivi che vadano a toccare progetti già ultimati o i cui pagamenti erano comunque già stati rendicontati». Rimane, però, il «danno», cioè il problema principale: «Tutta la progettazione resta bloccata».

Entrando nello specifico, respingendo il ricorso di Trump la sentenza della Corte lascia in vigore un’altra sentenza emessa la scorsa settimana da Amir Ali, giudice del tribunale di Washington, che dava al Governo 36 ore di tempo (scadute alle 23.59 del 26 febbraio ora americana) per sbloccare i due miliardi di dollari in questione. In realtà, Ali era intervenuto già il 13 febbraio, quando, accogliendo una causa presentata dall’Aids vaccine advocacy coalition e dal Global health council, aveva emesso un’ordinanza con cui proibiva al Governo di bloccare i pagamenti di progetti avviati prima che Trump entrasse in carica. Tuttavia, l’amministrazione di Washington non ha rispettato la sentenza, tanto che Ali è stato costretto a richiamare all’ordine il Governo fino ad arrivare, infine, a fissare una deadline precisa.

È stato proprio a ridosso della scadenza delle 36 ore che lo staff di Trump ha presentato ricorso alla Corte suprema, affermando che Ali stava eccedendo la propria autorità. Una posizione respinta dalla maggioranza dei giudici ma accolta dai quattro conservatori Clarence Thomas, Brett Kavanaugh, Neil Gorsuch e Samuel Alito. Proprio Alito ha firmato un documento di otto pagine a nome della minoranza in cui sono stati espressi i motivi del dissenso. «La Corte commette un passo falso molto sfortunato che premia un atto di arroganza giudiziaria e impone una sanzione di due miliardi di dollari ai contribuenti americani», si legge. Di più: per Alito e gli altri ordinare lo sblocco avrebbe comportato per il governo il serio rischio di non essere in grado di riavere indietro il denaro qualora quei pagamenti fossero stati valutati ingiustificati o frutto di frode. 

Se questa è la posizione della minoranza, i cinque giudici che hanno dato ragione ad Ali non hanno motivato la propria sentenza. È prassi, infatti, che nelle decisione di emergenza come quella in questione le spiegazioni non vengano fornite subito. In ogni caso, la sentenza è probabilmente da inquadrare come un successo marginale. La Corte ha bocciato il ricorso di Trump affermando che una data di scadenza entro cui onorare i pagamenti era già stata superata. Tuttavia, ha ordinato al giudice Ali di mostrare «la dovuta considerazione per la fattibilità» di qualsiasi scadenza futura che potrebbe stabilire. Parole che suonano come un invito a essere più elastici. «È una sentenza burocratica che non denuncia un danno umanitario», sottolinea Stilli. «Per questo, la previsione pessimistica secondo cui il disimpegno americano non verrà rivisto rimane valida». Quanto all’impatto che lo sblocco dei due miliardi avrà, Stilli è dubbiosa: «È una cifra minuscola rispetto al totale. Non siamo ancora riusciti a fare uno screening di come questa cosa cambierà le cose per noi, ma la speranza è che arrivino in futuro misure analoghe riguardanti altri progetti in essere».

AP Photo/Ben Curtis/LaPresse

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