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Troppe le bugie dell’informazione globale e della Rai
oggi si possono trovare informazioni su ogni cosa da tutti i posti del mondo ma sono i mezzi di informazione di massa quelli che realmente gestiscono come meglio credono questo flusso di notizie.
di Redazione
M i ha molto colpito l’articolo di Alessandro Marescotti a proposito del Millennium Bug. Perciò vorrei porre alla vostra attenzione una questione che considero a dir poco singolare: la copertura che i media hanno garantito all’evento della fuga d’amore di Montecastrilli. La morbosità sembra che caratterizzi in maniera sensibile molti operatori dell’informazione i quali, come sempre dinanzi a una critica simile, si rifugiano nel dogma dei desideri del pubblico. Questa esposizione sui media, che in qualche modo è anche peggiore della ben più pomposa questione Clinton-Lewinsky, è cartina di tornasole dei risultati di questi primi anni di mondo globalizzato. Proverò a spiegarmi. Quando se ne iniziò a parlare, si osannò l’infinita possibilità di reperire, senza censure, informazioni su ogni argomento. La questione, però, si è subito posta in altri termini: se è vero che oggi si possono trovare informazioni su ogni cosa da tutti i posti del mondo – con un cellulare attrezzato e un computer portatile, non è meno vero che sono i mezzi di informazione di massa quelli che realmente gestiscono come meglio credono questo flusso di notizie. Il risultato di tale operazione è che la televisione è divenuta l’elemento trainante dell’informazione di massa, confrontati gli indici di ascolto con le copie vendute dai giornali e i rispettivi budget pubblicitari. E la televisione sta gestendo questa massa di notizie infinita in modo nient’affatto credibile.
Tutti i giorni, in buona parte del mondo, milioni di persone combattono con la fame, la miseria, la malattia e la guerra ma questo – forse perché lontano dagli occhi – non appare quasi mai nei telegiornali o approfondimenti delle televisioni nazionali, e quando appare è in fasce orarie di bassissimo ascolto. Possiamo comprendere ma non giustificare le emittenti private ”commerciali”, le quali vivono sull’audience: esse non hanno un finanziamento pubblico (il canone che moltissimi di noi pagano è di fatto un finanziamento pubblico). Verrebbe da dire: lontano dagli occhi e dalle telecamere, quindi non esiste. Ma, senza andare troppo lontano, anche le questioni italiane più scottanti sono meno presenti: rispetto allo spazio dedicato alla cronaca rosa, è molto scarso quello utilizzato per analizzare le vicende legate ai licenziamenti (migliaia di famiglie rischiano di non avere più uno stipendio) nelle fabbriche di alcune compagnie estere o riguardanti la morte a causa di incidenti sul lavoro (15 morti sul lavoro dall’inizio dell’anno) o quella dei barboni. Mi chiedo: quanti minuti di spazio è stato loro dedicato? È apparso veramente poco consono e anche un po’ irrispettoso. Con tutti i distinguo possibili, ma senza timore di dire cose che possano sembrare gravi, questa riflessione porta alla mente degli eventi accaduti nella prima metà dell’ultimo secolo, quando ai direttori dei giornali fu dato ordine di smantellare la cronaca nera e privilegiare le realizzazioni del regime – con clamorosi eccessi di retorica – e le notizie mondane. È evidente che non ci sognamo di paragonare l’Italia di oggi a quella di Mussolini, però è innegabile che questa continuità di comportamento da parte dei mezzi di comunicazione di massa (allora i giornali, oggi anche le televisioni) sia un po’ inquietante.
E lo è ancora di più se paragoniamo il tempo speso per raccontare le vicende di letto di due amanti umbri (se fosse scappato un uomo con una donna giovane, avrebbe destato ugualmente tanto interesse?) o l’infinita telenovela di Carlo e Camilla (li chiamo Carlo e Camilla perché ne ho sentito parlare tanto che spesso li confondo con familiari) con quello dedicato alla descrizione di quanto accaduto a Seattle nel corso del Millennium Round lo scorso anno. I media hanno evidenziato la cronaca, dando rilievo adeguato alle manifestazioni organizzate nella capitale dello stato di Washington, ma le motivazioni delle proteste, gli interessi in discussione, la rilevanza delle decisioni che si vorrebbero attuare, chi li ha evidenziati? Non certamente i media televisivi italiani e questo, confrontato con la ben diversa realtà fuori confine, non fa molto onore alla stampa del nostro Paese. Oggi c’è bisogno di tutto fuorché di retorica ma, purtroppo, proprio questa sembra l’unica protagonista di tanta televisione vuota di contenuti e volutamente cieca rispetto a un pianeta che sta andando non nella direzione che tutti auspicavano o auspicano.
Le manifestazioni oceaniche a reti unificate per la raccolta di fondi a favore di questa o quella associazione benefica, infatti, ci sembrano non rendere in alcun modo giustizia a tutte le omissioni quotidiane che si perpetuano, ammesso che a quelle succitate maratone televisive non sia stata la retorica, nuovamente, a farla da padrona. Un male nazionale che proprio sembra non abbandonarci.
Associazione Lotta per la Vita, aderente all’ANOLF
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