Salute e prevenzione

Troppe disomogeneità territoriali nell’adozione di buone pratiche genitoriali

Un basso livello di istruzione, l’essere nati all’estero e il vivere nel Sud Italia sono i fattori che incidono di più sulla probabilità che esse non vengano adottate dal nucleo familiare. Lo rivela uno studio del Mario Negri

di Nicla Panciera

Il periodo perinatale e i primi gli anni di vita sono momenti cruciali per la salute e per il futuro sviluppo di un bambino. Eppure, esistono oggi in Italia notevoli differenze geografiche sull’adesione dei neogenitori alle buone pratiche che favoriscono il corretto neurosviluppo del figlio. Il peso dei fattori socio-demografici nel mettere in atto dei comportamenti in linea con quanto suggerisce la scienza è stato misurato da un lavoro dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs e pubblicato sulla rivista European Journal of Pediatics. L’analisi ha riguardato i dati di 3.337 bambini della coorte del progetto Nascita e, in particolare, l’adozione da parte del nucleo genitoriale di quindici buone pratiche,  e ha individuato alcuni fattori che la influenzano.  “Alcune pratiche, come l’assunzione dell’acido folico o l’allattamento, riguardano solo le mamme, in tutte le altre abbiamo considerato entrambi i genitori” puntualizza uno degli autori dello studio, Antonio Clavenna, responsabile del Laboratorio di epidemiologia dell’età evolutiva del Dipartimento di epidemiologia medica del Mario Negri.

Scarsa istruzione, vivere al Sud, nascere all’estero

L’analisi restituisce una fotografia piuttosto precisa. Avere un basso livello di istruzione è il fattore che incide di più nella scarsa aderenza alle buone pratiche; seguono l’essere nati all’estero e il vivere nel Sud Italia, e questi due fattori più o meno si equivalgono, perché diminuiscono di più della metà la probabilità che le buone pratiche vengano adottate; infine, la giovane età e la disoccupazione.

Le 15 pratiche indagate

Le pratiche prescelti riguardano le condizioni fisiche, psicologiche e lo sviluppo comportamentale e il loro benessere generale, e sono le seguenti: adeguato apporto di acido folico; vaccinazione materna contro la pertosse in gravidanza; niente alcol in gravidanza; niente fumo in gravidanza; leggere ad alta voce in gravidanza; posizione supina del neonato durante il sonno; vaccinazione antipneumococco; allattamento al seno esclusivo; tempo a pancia in giù; leggere ad alta voce al bambino; ascoltare musica insieme; tempo all’aria aperta; esposizione a schermi; tempo di accensione della televisione ≤ 4 ore;  routine della nanna.

Sono state raggruppate in tre grandi aree di intervento: la prevenzione durante la gravidanza, dopo la nascita e pratiche comportamentali. Il verde indica l’adozione della pratica.

Immagine tratta da
Pandolfini, C., Clavenna, A., Campi, R. et al. Parental practices that influence children’s development: how often are they implemented and by whom—results from the NASCITA birth cohort study. Eur J Pediatr (2024)

Si vede che l’adesione complessiva varia notevolmente tra le pratiche: nel primo gruppo, 33% delle madri si erano vaccinate contro la pertosse, mentre Il 94% aveva evitato di fumare. Il team ha anche indagato le associazioni tra le diverse pratiche, in altre parole come si connettono tra loro. Non stupisce scoprire che alcune sono collegate, ad esempio il tempo speso davanti allo schermo e quello all’aperto oppure leggere ad alta voce in gravidanza e al bambino. Altre associazioni, come quella inversa tra routine della nanna e vaccinazioni, sono invece da ricondurre al contesto culturale e geografico (nel Sud le vaccinazioni sono basse, ma è diffusa la routine della nanna). Un aspetto degno di nota, evidenzia Clavenna, è che «in generale, tranne pochi comportamenti come alcol, fumo e la posizione supina nel sonno, le altre pratiche non sono molto seguite, neppure quelle già oggetto di passate campagne informative. Bisogna fare di più».

Conclusioni

«Emergono disomogeneità importanti e pesanti. Alcune di queste sono comprensibili, come ad esempio la diversa capacità delle classi più svantaggiate di accedere alle informazioni sanitarie, comprenderle e applicarle. Ma c’è dell’altro, più difficile da accettare» conclude Clavenna, riferendosi alle differenze regionali, «che ricorrono in diversi ambiti e di cui i nostri risultati sono solo un’ulteriore conferma. Basta guardare ai dati della migrazione sanitaria o della maggiore mortalità infantile al Sud rispetto al Nord. Le disomogeneità da noi misurate nell’adesione alle buone pratiche non sono dovute solo ad aspetti culturali ma anche organizzativi, che fanno sì che in alcune aree del paese ci siano bisogni di salute non soddisfatti. Dovremmo occuparci di ridurre questo gap, perché le diverse opportunità di certi bambini diventano differenze di salute». Infine, «lo studio traccia l’identikit di nuclei familiari più fragili, come quelli composti da persone con bassi livelli di istruzione, residenti al Sud, non nati in Italia e al primo figlio, che meritano maggior attenzione quando si tratta di interventi rivolti alla formazione genitoriale».

Foto di Toa Heftiba su Unsplash

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