Non profit

Troppa flessibilità non aiuta a crescere

Parla Marco De Marie, del Centro di documentazione sulle fondazioni

di Maurizio Regosa

Ai tradizionali criteri per valutare una fondazione
(il patrimonio, l’attività),
se n’è aggiunto un terzo:
se è o meno filantropica.
Mettendo insieme queste tre condizioni si crea un’enorme “fauna” molto diversificata. Da qui
la necessità di ripensare
il quadro d’insieme
«La fondazione è una forma giuridica utilizzata ormai per tutto. Abbiamo il paradosso di fondazioni che danno soldi da un lato e che dall’altro cercano soldi. Il termine non è più in grado di descrivere una realtà specifica dal punto di vista dell’attività». Da qui, spiega Marco De Marie della Compagnia di San Paolo e del Centro di documentazione sulle fondazioni, «la necessità di distinguere diverse tipologie».
Vita: Quali sono le principali?
Marco De Marie: Da un lato le fondazioni che hanno natura filantropica: appoggiano cause di interesse collettivo, facendo attività erogativa o mettendo a disposizione gratuitamente dei servizi. Poi ci sono le altre. Non sono contrarie al bene pubblico, anzi, hanno finalità molto apprezzabili, ma non si basano sull’idea di utilizzare risorse proprie e donarle per il bene di terzi. Le fondazioni non filantropiche a loro volta si distinguono in due grandi categorie.
Vita: Quali?
De Marie: Ci sono quelle di natura organizzativa, spesso usate per gestire con flessibilità attività che non hanno mercato e quindi non possono essere gestite attraverso società commerciali, ma che al tempo stesso hanno bisogno di razionalizzazioni che solo un soggetto tipicamente non democratico come la fondazione può assicurare. Per non democratico intendo un soggetto governato da un consiglio d’amministrazione non eletto da un’assemblea e capace di esprimere una decisionalità flessibile e rapida.
Vita: Può fare un esempio?
De Marie: Le fondazioni nate per gestire gli enti lirici, i musei, le orchestre, le biblioteche. L’altra tipologia è quella delle fondazioni che fanno un servizio di produzione di beni sociali, assistenziali, di cura, di conciliazione sociale. Ottengono le risorse con cui funzionare tramite convenzioni con gli enti pubblici o anche vendendo sul mercato i loro servizi. Quindi sono imprese sociali non profit. Fanno cose ottime, ma non corrispondono alla modalità storica della fondazione filantropica, che è quella di un patrimonio accumulato perché i suoi frutti siano gratuitamente ridistribuiti. Un tempo c’erano fondamentalmente due criteri: se la fondazione ha o meno un patrimonio; quale l’attività, erogativa od operativa. A questi due oggi si aggiunge il fatto che la fondazione sia filantropica o meno. Già con queste tre condizioni si crea una “fauna” molto diversificata. Va detto che tale flessibilità ha aspetti anche positivi: permette di far emergere attività, idee, modi di vedere che altrimenti potrebbero rimanere inattivati o relegati a una sfera privata, individuale o di piccolissimo gruppo.
Vita: Soggetti con caratteristiche, missione e dinamiche differenti…
De Marie: La cosa importante è che ciascuno giochi la partita che può giocare, che non finga di essere qualcun altro. Magari anche illudendosi. Per esempio un’auto illusione tipica è quella degli enti locali che immaginano che, per il semplice fatto di costituire una fondazione, fiocchino poi risorse private a sostegno della fondazione medesima. Non è così. All’inizio del decennio invece era un’illusione molto diffusa. L’idea che la fondazione risolvesse tutti i problemi. Può risolverne alcuni, ma ne crea anche degli altri.
Vita: A quali problematiche si riferisce?
De Marie: Ad esempio al rispetto dell’indipendenza. Se un ente pubblico crea una fondazione immaginando di poterla governare a suo ghiribizzo, fa un’operazione impropria: alla fondazione deve essere riconosciuta la piena autonomia. Di per sé la fondazione è un ente che non può avere padroni. Nella sua forma originale era una organizzazione volta ad assicurare che un patrimonio destinato a fini di pubblico benessere non potesse essere controllato da chi quei fini non era disposto ad accettare. Fosse stato pure il fondatore.
Vita: Uso improprio o anche dannoso?
De Marie: Ho visto un unico esempio di uso abbastanza dannoso: le fondazioni enti lirici. Frutto di un’illusione ottica e di una speranza senza fondamento chiaro. Sono tutte in fortissima difficoltà. Un altro problema è legato al fatto che l’essere soggetti di diritto privato non è che non ponga degli obblighi o dei limiti. Anzi.
Vita: Per esempio?
De Marie: I cambiamenti di statuto non possono avvenire con la facilità con cui avvengono nei soggetti commerciali, ma devono essere autorizzati dagli enti vigilanti. Inoltre se una fondazione “fallisce”, cioè non riesce ad assolvere il suo compito, dovrebbe essere posta in liquidazione. Il patrimonio non torna mai al fondatore: dovrebbe essere o disposto a favore di soggetti analoghi o riassorbito dalla pubblica amministrazione. Invece molte fondazioni semplicemente rimangono come relitti, avendo a diposizione piccoli patrimoni che nessuno usa più. Non ci si preoccupa di porre fine alla loro vita giuridica. Un altro altro aspetto un po’ problematico riguarda le fondazioni d’impresa che, ricevendo i fondi anno su anno dall’impresa madre, hanno una certa difficoltà di programmazione.
Vita: Occorre una nuova formulazione giuridica per tutte queste variabili?
De Marie: In effetti è in corso una riflessione. Sia nella penultima che nell’ultima legislatura ci sono stati anche tentativi di ripensare gli articoli del Codice civile: nessuno è mai arrivato a buon fine.
Vita: Quali aspetti vanno considerati?
De Marie: Probabilmente sono molti. Ne cito tre. La prima è l’idea che possano sussistere anche fondazioni finalizzate a prospettive di tipo privatistico e familiare. È un modello che esiste in altri Paesi: nel mondo anglosassone si chiama trust. La famiglia costituisce una fondazione perché il figlio, che magari ha dei problemi di handicap, sia garantito per tutto il resto della sua vita tramite una rendita gestita dalla fondazione. È una forma di assicurazione sul futuro. Il secondo è il limite di soglia. Oggi per costituire una fondazione, a seconda della regione, bastano da 70 a 100mila euro. Importo molto esiguo con il quale si può fare una borsa di studio da 2 o 3mila euro l’anno ma ha senso fare operazioni del genere? Ci sono proposte volte a rendere più significativa tale soglia. Ad esempio mezzo milione di euro.
Vita: Il terzo?
De Marie: La tutela dei terzi. Visto che le fondazioni svolgono sempre più, come si diceva, attività di mercato, anche se del mercato sociale, cosa accade quando non sono in grado di assolvere le loro obbligazioni? Magari ci sono fondazioni che hanno cifre d’affari molto importanti e un patrimonio piccolissimo. Ed è sul patrimonio che i terzi si possono avvalere.

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