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Tripoli, la trincea e le fosse
Gheddafi asserragliato nella capitale, la Libia è nel caos
Il mondo con il fiato sospeso per le sorti del popolo libico, e per le conseguenze della rivolta contro Gheddafi, asserragliato a Tripoli. I giornali, giustamente, continuano a seguire con ampiezza la vicenda africana e i suoi risvolti politici, sociali ed economici.
- In rassegna stampa anche:
- DISABILI A SCUOLA
- BIOETICA
- MILLEPROROGHE
- CRISI ALIMENTARE
- FESTE
“La rivolta avanza, a Gheddafi resta Tripoli”, titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA, con una grande foto delle fosse comuni scavate sul lungomare di Tripoli. La rivolta avanza. Gheddafi conserva la capitale, mentre anche Misurata, dopo Bengasi e Tobruk, è in mano ai ribelli. Soldati e mercenari sono stati richiamati nella capitale. Le diserzioni si moltiplicano. Due piloti si sono rifiutati di bombardare e hanno fatto precipitare un caccia. Cifre diverse sui morti sono fornite dalla tv Al Arabiya, dalle ong e da altri media arabi. L’Unione europea intanto prepara sanzioni. Berlusconi: attenzione al dopo rais. Sin qui il riassunto dei fatti, in prima. Tanti i servizi nelle pagine interne, anche oggi. In prima l’editoriale è affidato alla penna amara di Gian Antonio Stella: “Egoismi e paure”. Un passo: “Non può ruotare tutto ossessivamente intorno a noi. Perché laggiù in Libia, sotto i nostri occhi, a pochi minuti di volo dall’Italia, stiamo assistendo a un bagno di sangue che ci fermerebbe il fiato e ci strapperebbe grida di raccapriccio se solo le vittime di tanta ferocia repressiva non fossero arabi, berberi, islamici, impastati tutti insieme, integralisti e laici, cammellieri e architetti, beduini sahariani e ragazzi cresciuti col web che sognano solo la stessa libertà che hanno i ragazzi olandesi o americani”. Eccellente il reportage di Lorenzo Cremonesi a pagina 3: “La festa di Bengasi città liberata «Ora la democrazia»”. Una pagina da inviato, capace di raccontare ciò che vede, fin nei dettagli. Leggiamo un passo: “Mentre ancora nella capitale si combatte e Gheddafi resiste asserragliato nei palazzi del regime, 1.200 chilometri più a Est la popolazione già festeggia la liberazione e trasforma la cronaca in mito. Arrivando ieri a Bengasi da Tobruk abbiamo trovato un’atmosfera da «missione compiuta». Ma anche rabbia, tanta rabbia contro il «dittatore criminale» e soprattutto contro l’Europa (in prima fila l’Italia) accusata di essere stata prima complice e adesso spettatrice troppo passiva dei crimini di questo regime in coma, eppure ancora pronto a massacrare impunemente la sua gente in piazza – scrive l’inviato del CORRIERE – Il percorso, quasi 500 chilometri, per la maggioranza in pieno deserto, si è rivelato assolutamente tranquillo. Nessun attacco di predoni, nessun raid dei piloti da caccia rimasti fedeli al dittatore. Totalmente infondate le voci di possibili posti di blocco volanti per terrorizzare il traffico. E invece benzinai aperti, i soliti drappelli di giovani armati agli ingressi dei rari villaggi che agitano i mitra in segno di saluto, camioncini stracarichi di lavoratori egiziani diretti verso la frontiera a Sollum.
Ma a Bengasi appare subito evidente che la battaglia è stata più vasta e aspra che non nelle province orientali a ridosso del confine egiziano. Le caserme di polizia ed esercito mostrano segni di vasti incendi e fori di mitragliate. I resti delle barricate ancora insozzano gli accessi al lungomare. Praticamente non c’è importante edificio pubblico, della municipalità o del governo centrale, che non sia stato saccheggiato”.
“La Libia in un bagno di sangue”. Titolo a tutta pagina in prima di REPUBBLICA sugli ultimi eventi che stanno colpendo il paese del Maghreb. Sempre dalla prima un reportage dell’inviato Pietro Del Re e un doppio commento di Adriano Sofri e Gad Lerner. E spuntano i primi numeri: già diecimila i morti, sepolti nelle fosse comuni ricavate sulle spiagge, ma è l’Agenzia europea Frontex che conferma un possibile flusso migratorio verso Italia e Grecia e poi Spagna e Francia fra i 500mila e il milione e mezzo di arabi. La catastrofe umanitaria spaventa il BelPaese, ma non solo. Il premier confessa i propri timori e teme qualche ritorsione violenta da parte del suo ex “amico” Gheddafi: «Adesso quel pazzo ci tirerà i missili». Ma ormai il dado è tratto, e non si può tacere: da ogni parte si chiede quindi di cessare le violenze, anche se non per tutti la soluzione passa per la caduta del Rais. Sono parole del presidente della Commissione esteri, Lamberto Dini, intervistato da Alberto Mattone a pagina 6: «L’Italia non auspica la fine di Gheddafi, non abbiamo ragioni per volere la caduta di un leader che oggi intrattiene buoni rapporti con tutta la comunità internazionale. Certo, la repressione è inaccettabile, e se Gheddafi continua a percorrere questa strada, segnerà la sua fine». A pagina 9 Valeria Fraschetti fa il punto sul cosiddetto “tesoro del colonnello”: «Che siano custodite in conti bancari segreti nel Golfo o in Europa, è certo che le opache fortune accumulate in 41 anni di regime dalla famiglia Gheddafi sono enormi. Non solo perché, sedendo sulle ottave riserve di oro nero del pianeta, la natura è stata generosa con il Colonnello. Ma anche perché il dittatore è stato un abile re Mida che, con l’aiuto dei figli, ha fatto fruttare i petrodollari in una ragnatela di lucrosi interessi che vanno ben al di là dell’energia: abbracciano una fetta considerevole dell’economia nazionale, e non solo». Pagina 10 e 11 sono dedicate al delicato rapporto Ue-Italia. Da un lato il commissario europeo Barroso annuncia pieno appoggio, dall’altro il ministro degli Interni, Roberto Maroni lancia l’allarme: «Non reggeremo a lungo». Ad aggravare la situazione un cablogramma rivelato da Wikileaks in cui si dice come l’Italia sia un paese sostanzialmente impreparato all’emergenza migranti. I servizi sul caso “Libia” si concludono con il dossier “energie”. “Ancora 3 mesi d’autonomia. L’Italia esorcizza il rischio gas. «Per adesso niente black out»”. No panic, sembra leggersi in controluce. Ma di fatto, numeri alla mano, se i rubinetti di petrolio e gas dovessero chiudersi, l’Italia avrebbe un tempo massimo di 3 mesi per trovare una soluzione. PS: Salata la vignetta di Altan in prima: «Attenzione ai pagliacci: possono diventare feroci».
IL GIORNALE si scaglia contro i diplomatici Ue «da licenziare» secondo Ida Magli che apre il suo articolo di fondo con le parole del ministro degli Esteri Frattini «L’Europa è codarda». La Magli prosegue: «Come dice il geopolitologo Lucio Caracciolo, l’Europa è un bluff. È una costruzione di carta, una costruzione a tavolino, in cui sono state messe a punto tutte le forme istituzionali di un immenso Stato prive di qualsiasi rispondenza con la realtà. L’unica istituzione reale è quella che ci ha tolto la sovranità monetaria, la Banca centrale europea. «Il servizio diplomatico europeo sarebbe stato meglio che non esistesse affatto dato che la signora Ashton non ha la minima idea di quale politica estera seguire all’interno della Ue, dove non ha preparato nessun accordo per cui è immediatamente scattato il vecchio istinto di difesa dell’ognuno per sé, né all’esterno dove ha rimediato, come in Egitto, soltanto porte in faccia». Dello stesso tono la cronaca di Fontana che mette in evidenza il rimbalzo delle competenze. Se il presidente della Commissione europea Barroso dice che il problema va risolto in modo europeo e che si possono mobilitare risorse d’urgenza, la commissaria per gli affari esteri Malmstom afferma che la legge non prevede la distribuzione fra gli Stati membri di migranti che chiedono asilo, la solidarietà è solo su base volontaria». Il quotidiano di Sallusti, attraverso la penna di Biloslavo, mette in evidenza che «La Libia è un Paese molto diverso da Egitto e Tunisia. È il secondo esportatore di petrolio dell’Africa: il 25% del reddito nazionale è costituto da questa ricchezza. I libici sono sei milioni, con un reddito procapite di oltre 13mila dollari l’anno, molto più della media del Maghreb. Il 60% della popolazione è impiegato nel settore pubblico, il passaggio ad un’economia di mercato potrebbe avere un grosso impatto sociale».
L’immagine delle sepolture sulla spiaggia a Tripoli, la stessa che ieri è circolata in Internet è quella scelta dal MANIFESTO per rappresentare quanto sta succedendo in Libia “Ultima spiaggia” è il titolo di apertura mentre all’interno sono quattro le pagine dedicate all’argomento (dalla 2 alla 5): « Migliaia di persone in fuga dalla guerra si dirigono verso le frontiere. Per i morti si scavano fosse anche sulla spiaggia. Secondo Al Arabiya, le vittime della repressione in Libia sarebbero 10mila e 50mila i feriti. Il regime si prepara a dare battaglia a Tripoli, mentre i parenti del raìs provano a fuggire all’estero, ma vengono respinti. La Ue discute di sanzioni ma alla fine non trova l’accordo e lancia l’allarme profughi: tra 500mila e un milione e mezzo potrebbero arrivare in Europa. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu condanna le violenze, Hillary Clinton punta il dito contro Gheddafi» è questo sommario che lancia i temi trattati nelle pagine interne. Sempre a quanto sta succedendo in Libia è dedicata la vignetta di Vauro che scrive nella didascalia «Frattini preoccupato per il possibile arrivo di profughi libici», nel disegno un colonnello Gheddafi con mannaia e grembiule da macellaio che al telefonino dice: «Tranquillo ministro te li ammazzo tutti prima». Sempre in prima viene lanciata la manifestazione di oggi pomeriggio a Roma «Fermiamo il massacro in Libia. Pane, lavoro, democrazia, accoglienza. Mediterraneo dei gelsomini». A pagina 3 un articolo fa un focus sull’Italia “Berlusconi molla Gheddafi” recita la prima riga del titolo mentre nella seconda si legge l’avvertimento del premier italiano che teme il dopo. «(…) Berlusconi finalmente e pubblicamente denuncia la repressione sanguinaria del suo amico Gheddafi (meglio tardi che mai). Ma sottolinea i pericoli che comporta una transizione difficile esposta al rischio del fondamentalismo islamico. Sono parole tardive che fanno eco agli interventi ufficiali, prima alla Camera e poi al Senato, del ministro degli esteri Franco Frattini. (…)», scrive Giorgio Salvetti che conclude: «(…) A questo punto però piangere sul latte versato e fare a gara a chi era meno amico del Colonnello serve a poco. Il problema è che nessuno, in Italia, in Europa e nel mondo, sa che cosa fare. Certo non quello che vorrebbe Umberto Bossi il quale a chi gli chiede se non sia il caso di sospendere il trattato di amicizia con la Libia risponde laconico “Non esageriamo”. Poi cinicamente fa capire che l’emergenza libica potrebbe persino essere utile al governo e allontanare ogni ipotesi di elezioni anticipate. Ma soprattutto fa gioco alla Lega, pronta ad usare la paura dell’invasione islamica pro domo sua». Le pagine 4 e 5 partono dalla Libia vista dal fronte europeo – «L’Ue non sanziona e attende i migranti», in pratica, si ricorda che ieri «Per tutta la giornata Bruxelles discute di come sanzionare il regime libico, ma alla fine nulla di fatto. Attende l’ondata migratoria: tra 500mila e un milione e mezzo» – per allargare ad Afghanistan, Algeria, Egitto e Yemen, mentre un articolo sottolinea «Nordafrica in fiamme, il fallimento di Sarkozy».
Sempre gli aspetti economici in primo piano sul SOLE 24 ORE “Petrolio record per la crisi libica” è il titolo di apertura del quotidiano di Confindustria, che affida l’editoriale in prima ad Alberto Alesina, “Lo sviluppo e la fame di democrazia”: «In generale la democrazia va a braccetto con lo sviluppo economico: il secondo rende la prima pressoché inevitabile. Alla fine lo sviluppo e l’istruzione non sono compatibili con regimi dittatoriali soffocanti. Redditi pro capite più alti, ben sopra il livello di sussistenza, incoraggiano attività economiche più sofisticate, che richiedono più libertà d’azione e mercati più liberi e meno controllati dalle élite vicine alla famiglia del dittatore. Un aumento del livello medio d’istruzione rende sempre meno tollerabile la censura e la mancanza di libertà di espressione, di partecipazione e di critica. (…) In un certo senso, quindi, è naturale che paesi come l’Egitto, la Tunisia, il Bahrein, la Libia e forse persino l’Iran insorgano. E sono le classi medie in questi paesi a essere particolarmente presenti in queste insurrezioni. Sono abbastanza ricche e istruite per apprezzare, appunto, i benefici della democrazia. Oltre agli altri dittatori mediorientali, che saranno probabilmente terrorizzati da quanto sta accadendo, vi è un altro regime che osserva da vicino gli eventi: quello cinese. Il regime in quel paese sopravvive, si dice comunemente, grazie alla straordinaria crescita economica, per cui i cinesi pensano a diventare ricchi e non alla democrazia. Vero, nel breve periodo. In realtà la crescita economica è un’arma a doppio taglio per il regime di Pechino. Alla fine lo sviluppo economico dei cinesi li renderà meno tolleranti delle limitazioni alla loro libertà. Una transizione verso la democrazia è inevitabile. L’incognita è se sarà una transizione relativamente pacifica o violenta». Nei commenti di pagina 18 IL SOLE tira le orecchie ai pacifisti: “Non commuove il dolore della Libia”. «Definire una carneficina quello che sta succedendo è quanto di più aderente alla realtà si possa immaginare. Stupisce che questa mattanza stia passando nel silenzio assordante di associazioni, organismi, enti sempre impegnati in prima fila quando bisogna, meritoriamente, difendere i diritti dei popoli oppressi in tutto il mondo. Fino ad oggi non abbiamo avuto notizia di condanne, né alte né basse, da parte di nessuno. Niente manifestazioni, nessuna bandiera della pace esposta, nessun corteo pacifista. Niente strali perché nessuno tocchi Caino. Eppure, al contrario, i manifestanti libici stanno cercando di liberarsi del Colonnello Gheddafi, uno dei dittatori più sanguinari dell’ultimo secolo. Sarà la stanchezza, sarà la rassegnazione, ma per i morti in Libia s’ode un silenzio assordante».
“Libia, italiani quasi tutti a casa”. ITALIA OGGI offre una lettura del caos in Libia attraverso l’intervista a Paolo Greco, managing partner dello studio legale A&P a Tripoli. Tornato in Italia senza troppe difficoltà, secondo Greco i nostri connazionali rimasti in Libia non corrono pericoli. Il rischio vero lo corrono africani, egiziani o tunisini. Per loro è in corso una caccia all’uomo. «Gli africani» spiega Greco «sono temuti come mercenari o come potenzialmente trasformabili in mercenari. Così li fanno fuori, e all’esterno dell’aeroporto di Tripoli si è formata una folla di circa ventimila persone che cercano di sfuggire dal paese. Si tratta in larga parte di egiziani, e comunque di persone prive di passaporto, ed è quindi impossibile che li portino via». Oltre agli italiani ancora in Libia, non ci sarebbero pericoli per la distribuzione di gas in Italia. Lo ha affermato il ministro Paolo Romani nel pezzo “Gas, l’Europa replica a Gheddafi”. Anzi, il pezzo fa il punto sul Galsi, il gasdotto che collegherà l’Algeria con l’Italia via Sardegna.
AVVENIRE apre con l’immagine delle fosse comuni sul lungomare di Tripoli sotto il titolone “Il mattatoio del Colonnello”. Sette le pagine dedicate al resoconto di quanto avviene in Libia. Nell’editoriale “Per non cadere nell’incubo” Luigi Geninazzi sostiene: «Sarebbe davvero imperdonabile sottovalutare la follia distruttrice e la capacità sanguinaria di un tiranno che nel suo delirante discorso alla nazione si è detto pronto a una nuova Tien An Men pur di conservare il potere…. C’è qualche profeta del malaugurio che si compiace nel dare per scontato un disastro sociale, politico e religioso. Invece, bisogna fare di tutto perché il vento della libertà e della democrazia che soffia impetuoso dalla Tunisia all’Egitto non s’arresti ai confini della Libia. E per fermare il “cupio dissolvi” del tiranno sanguinario l’Occidente, e non solo esso, dev’essere pronto a ogni evenienza, anche a un intervento umanitario con i caschi blu dell’Onu. Ma è soprattutto l’Unione Europea che deve battere un colpo… Se l’Italia riuscirà in questa battaglia, evitando l’impressione di mendicare un po’ di aiuto per una questione che riguarda il futuro di due continenti, avrà fatto un’opera meritoria». Nei servizi all’interno, una pagina (“Prove di democrazia 2.o”) parla del ruolo fondamentale delle tecnologie e dei social network nell’organizzazione delle proteste. Il Primo Piano, a pagina 7, riporta un’intervista esclusiva al direttore di Caritas Libia, padre Alan Arcebuche: «Lavoriamo in prima linea tra morti e feriti all’ospedale di Tripoli», dice il francescano «e da qui non ci muoviamo». Alle pagina 8 e 9 il Magreb in fiamme visto da Roma, con Berlusconi “preoccupato” dal rischio integralismo e l’offerta di Casini di “gestire insieme questa emergenza”. Sul fronte dell’Europa dopo il vertice dei ministri degli Interni del Sud Europ emerge la sollecitazione a realizzare in tempi brevi un fondo speciale di solidarietà e un sistema continentale di asilo comune in modo da selezionare e distribuire i profughi in modo razionale. Secondo il Frontex, l’Agenzia Ue per il controllo delle frontiere, sarebbero pronti a la lasciare la Libia un milione di africani di origine subsahariana.
Una foto delle fosse scavate lungo la riva del mare per seppellire i cadaveri delle persone uccise dal regime di Gheddafi campeggia in prima pagina su LA STAMPA, dove è evidenziata con un richiamo anche un’intervista a Giorgio Napolitano del quotidiano tedesco Die Welt, che occupa pagina 10 dopo tutta la prima parte del giornale sulla Libia. «Credo che l’Europa, negli anni passati, sia stata un po’ disattenta nei confronti degli sviluppi nel Nordafrica», dice il Presidente della Repubblica. «Abbiamo sottovalutato l’aggravarsi dei problemi di larghe masse popolari. Ora l’Europa deve adoperarsi decisamente a trovare una linea comune, una politica mediterranea comune. Abbiamo ritenuto che i regimi del Nordafrica fossero stabili e non corressero rischi estremi. Questa è stata un’illusione alla quale abbiamo ceduto». Nelle pagine precedenti, un’analisi di Maurizio Molinari da New York raccoglie le opinioni di esperti americani sui possibili scenari in Libia: si potrebbe prospettare «un’altra Somalia», dice l’ex agente Cia in Medio Oriente Robert Baer, con Gheddafi che potrebbe sabotare pozzi e oleodotti per precipitare la Libia in uno scenario somalo di lotta fra clan, nella convinzione che a lungo termine potrebbe essere lui a prevalere avendo più mezzi e risorse. Nelle altre pagine, LA STAMPA riporta le cifre, contrastanti, delle vittime in Libia, a pagina 4 e 5 le reazioni in Italia, il problema dei profughi e la richiesta di Maroni all’Europa di attivare un fondo di solidarietà per il Mediterrraneo, con a piede un reportage da Lampedusa, dal titolo “Navi, aerei e paura. Lampedusa pronta come a una guerra”.
E inoltre sui giornali di oggi:
DISABILI A SCUOLA
CORRIERE DELLA SERA – “Se i ragazzi si ribellano e difendono il più debole”: parte in prima, di spalla, il commento di Isabella Bossi Fedrigotti a un episodio accaduto a Catanzaro e raccontato a pagina 28. Un alunno con sindrome di Down avrebbe dovuto, secondo la preside, rinunciare a una gita con la classe, visto che mancava l’insegnante di sostegno, ma i compagni di classe sono insorti e hanno dichiarato alla preside che non si sarebbero mossi dall’aula. Quasi clamoroso.
AVVENIRE – “Lo studente down? Escluso dalle gite. E la classe si ribella” è il titolo di AVVENIRE che a pagina 14 racconta il caso di una scuola di Catanzaro dove la preside aveva chiesto ai ragazzi di non dire delle uscite al compagno down vista la sua “infermità”. I compagni si sono ribellati. I fatti risalgono a gennaio ma sono stati resi noti solo ora dopo la denuncia della famiglia.
LA STAMPA – “Ammutinati in terza media per il compagno Down”. Uno dopo l’altro, tutti gli alunni classe di Catanzaro si sono rifiutati di andare in gita per solidarietà nei confronti di un compagno down, al quale la scuola ha vietato uscite esterne. La dirigente scolastica aveva chiesto ai ragazzi di non far sapere al compagno le date delle gite, «motivando la richiesta con la sua scarsa capacità di apprendere a causa della sua infermità genetica» ha spiegato Ida Mendicino, la responsabile del Coordinamento regionale della Calabria per l’integrazione scolastica che ha reso pubblica la vicenda.
BIOETICA
AVVENIRE – Nell’inserto “èVita” riprende il dibattito sul disegno di legge per il fine vita che sarà discusso alla Camera il 7 marzo riepilongando i punti chiave e riporta un intervento di Luciano Eusebi, ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica secondo cui il “diritto di morire” è un pericolo per chi è più debole: «Nelle situazioni in cui è ormai irrecuperabile uno stato di salute piena vi sarebbe una fortissima pressione nei confronti del paziente (e della famiglia) a fare un passo indietro, liberando la società dall’onere di farsi carico di alcuni malati e disabili».
MILLEPROROGHE
IL MANIFESTO – Ampio richiamo in prima pagina sul “Governo nel caos” perché «Il milleproroghe riapre mille tensioni»: «Nella maggioranza estenuante trattativa per modificare il testo stoppato da Giorgio Napolitano. A sera arriva il maxi-emendamento che domani sarà votato con la fiducia a Montecitorio e sabato passerà al senato per l’approvazione definitiva. Si salvano solo le richieste della Lega. Berlusconi mastica amaro e rialza il tiro sul Quirinale: (…)». Due le pagine (la 6 e la 7) che aprono con il titolo “Il «milleguai» verdepadano” e nell’articolo si legge: «L’hanno deluso in fretta, torna già sui suoi passi, dagli scranni delle “responsabili” stampelle del governo tuona ruggisce e minaccia, l’ex Idv Domenico Scilipoti, uno dei protagonisti della tenuta di Berlusconi lo scorso 14 dicembre: se nel maxiemendamento che da ieri sera ha sostituito il testo del milleproroghe, e sul quale stasera la Camera voterà la fiducia, c’è ancora la norma salva banche, voterà no alla fiducia. Forse. Scilipoti è solo il più folkloristico dei tanti delusi. (…).Alla fine nel nuovo testo resistono tenacemente le richieste della Lega, cadono come birilli quelle di chi non è fondamentale per la tenuta in vita del governo (che nel frattempo ha reimbarcato molti transfughi del Fli, ed altri ne aspetta) (…) Il governo e la maggioranza trattano senza tregua per scrivere quel testo che il presidente Napolitano ha giù considerato «in contrasto con la Costituzione» in molte parti, e comunque zeppo di provvedimenti che non c’entrano niente. Del resto era il tram su cui si onoravano molti dei «pagherò» che firmati proprio in occasione della fiducia di dicembre (…)».
CRISI ALIMENTARE
IL SOLE 24 ORE – “La crisi alimentare spaventa l’Africa”. «Il settimanale statunitense Business Week le ha appena dedicato la copertina, definendola «la crisi che minaccia tutto». Il riferimento non è alla sempre più grave destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, ma all’allarme sui rincari dei prodotti agricoli e sulle possibili catastrofiche conseguenze che ne potrebbero derivare: dall’aggravarsi della fame nel mondo all’accelerazione dell’inflazione, fino ovviamente al diffondersi delle rivolte per il pane. I giornalisti d’oltreoceano non esitano a collegare in modo diretto gli ultimi drammatici sviluppi di cronaca al rally che negli ultimi mesi ha coinvolto quasi tutte le materie prime agricole, proiettando il Food Index della Fao ai massimi da quando nel 1990 l’agenzia dell’Onu ha cominciato a monitorare i prezzi alimentari nel mondo».
FESTE
ITALIA OGGI – “L’unità d’Italia si paga”. E’ il titolo d’apertura sulle novità del decreto legge n.5 apparso sulla Gazzetta Ufficiale di ieri, che dichiara ufficialmente il 17 marzo la giornata festiva l’anniversario dell’Unità d’Italia. Sarà una giornata festiva, ma non pagata ai lavoratori. I dettagli del decreto 5/2011 sono a pag 25.
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