Famiglia

Triple bottom line? Boh…

Solo il 22,1% dei manager dichiara di conoscerli. Tutti sanno cosa sia la csr. Ma ignorano la metodologia più rigorosa per applicarla

di Francesco Maggio

Che molti manager italiani di responsabilità sociale d?impresa ne sapessero poco o niente lo sospettavamo da tempo. Che al di là dei loro pubblici proclami nei quali l?espressione ?corporate social responsibility? compare sempre più frequentemente, vi fosse il classico oceano a separare il dire e il fare, pure. Ma adesso ne abbiamo un?ulteriore prova. Che dà una bella mazzata alla loro credibilità.

A fornirla è un sondaggio di Swg realizzato per il settimanale Il Mondo dal quale emerge, tra l?altro, un risultato tanto evidente quanto sconfortante: mentre ben l?87,4% dei dirigenti interpellati (un campione composto da un centinaio di dirigenti di imprese prevalentemente non quotate) conosce l?espressione ?csr?, appena il 22,1% sa cosa voglia dire ?triple bottom line?. Metodologia rigorosa di redazione del bilancio sociale lungo le tre direttrici: ambientale, sociale ed economica.

Csr come moda
In sostanza, vista l?enorme diffusione che negli ultimi anni hanno avuto i bilanci sociali, questo risultato sembrerebbe confermare un timore sempre più diffuso: la csr viene intesa da molti manager come un fattore moda, uno strumento di marketing. Quando invece si entra nel merito delle questioni, come appunto le modalità di realizzazione di un buon bilancio sociale (specchio fedele dell?implementazione delle politiche di csr), allora l?ignoranza la fa da padrona.

« Il dato non mi meraviglia affatto», esordisce il sociologo Aldo Bonomi, direttore di Communitas, «quella che oggi si chiama csr è stata uccisa in fasce nel capitalismo italiano. Quando il capitalismo ha fatto qui la sua comparsa, le imprese avevano una forte concezione di quella che si chiama oggi responsabilità sociale d?impresa. Quello che io chiamo ?fordismo dolce? di Adriano Olivetti aveva incorporato al suo interno la csr».

Il fordismo dolce
«Poi sopraggiunge il ?fordismo duro?, alla Fiat» continua Bonomi, «e quando si riapre il dibattito sulla csr, questa viene intesa soprattutto come modello anglosassone basato sul marketing. Ma una cosa è il marketing, un?altra la csr presa sul serio. E quindi oggi ci troviamo ad avere manager che non sanno assolutamente nulla di responsabilità sociale, o comunque ne sanno davvero poco».

Più cauto, invece, il giudizio di Cristiana Schena, responsabile del master in Etica e responsabilità sociale negli affari e nelle professioni dell’Università dell’Insubria: «Non credo si possa generalizzare, anche perché non di rado ci sono manager che fanno molto sul fronte della csr ma non ne sono consapevoli, non la ?riconoscono?. Fa tuttavia riflettere la circostanza che nel campione analizzato ci siano molti direttori finanziari e questi non sappiano cosa voglia dire ?triple bottom line?. Evidentemente ritengono che la comunicazione sociale non sia altrettanto importante come quella finanziaria».

Una chiave di lettura condivisa da Toni Muzi Falconi, past president di Ferpi: «Se il livello di conoscenza dei nostri manager di come si fa un buon bilancio sociale è questo, poi non bisogna meravigliarsi che il Paese sia in declino. Mi viene da allargare le braccia».

Non solo a lui?

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.