Cultura
Trento, la fuga di un Festival senza comunità
Dopo una collaborazione durata quindici anni con l’Editore Laterza, la Provincia di Trento, a seguito di un bando di gara, ha affidato la realizzazione delle prossime tre edizioni a Il Sole24ore. Laterza ha allora trovato in Torino la nuova sede per l’edizione 2022 del Festival dell'economia. Una vicenda figlia di un modello che prescinde da comunità e Terzo settore. Un'alternativa? Il Festival della letteratura di Mantova per esempio
La vicenda non ancora chiusa del Festival dell’economia di Trento dovrebbe indurre qualche riflessione a chi ha a cuore il ruolo del terzo Settore e le modalità dello sviluppo culturale e civile dei territori e delle comunità del nostro Paese. La storia è nota. Dopo una collaborazione durata quindici anni con l’Editore Laterza, la Provincia di Trento, a seguito di un bando di gara, ha affidato la realizzazione delle prossime tre edizioni a Il Sole24ore. A questo punto Laterza ha avviato contatti con altre città per realizzare altrove una manifestazione analoga, trovando in Torino la nuova sede per l’edizione 2022. Ovviamente il tutto contornato da polemiche mediatiche e forse contenziosi per quanto concerne marchio e logo.
Riflettendo sulle notizie trovo naturale confrontare quanto accaduto a Trento con l’esperienza del Festival della letteratura che dal 1997 anima ogni anno la città di Mantova. Qui la nascita della manifestazione non è stata frutto dell’affidamento a un imprenditore esterno alla città, bensì di un movimento partito dal basso, da librai e volontari della città. Sono stati loro a riprenderre un’idea nata altrove – in Scozia – e trapiantarla, reinventandola e coltivandola per il loro territorio sino a farne un evento ricorrente di straordinaria portata. Il tutto grazie anche alla partecipazione attiva di tutta la comunità – presumo, ma non ho trovato i dati – con costi ben più contenuti rispetto a quelli sostenuti a Trento da sponsor e enti locali.
Potrebbe accadere a Mantova ciò che è accaduto a Trento? Pur non escludendo in assoluto che, come talvolta accade, possano magari in futuro nascere dissapori dai quali, come la storia ci insegna, nessuna comunità è definitivamente immunizzata, mi sembra molto, molto improbabile che il Festival letteratura possa emigrare altrove o che gli organizzatori storici possano essere sostituiti per decisione dell’amministrazione locale.
Ciò che mi pare evidente è che, come risulta da molti esempi, al di là di quelli citati, si stanno confrontando in giro per l’Italia due modelli di festival. Ovviamente si tratta di un confronto che riguarda gli assetti istituzionali e le finalità lucrative o di interesse generale ad essi connessi, non i palinsesti, sui quali questo confronto, di per sè, poco influisce. Da una parte, similmente a quanto già avviene per le manifestazioni fieristiche, il festival è sostanzialmente proprietà di un organizzatore e può essere dislocato in diverse città-contenitore in base alle opportunità ( o alle idiosincrasie) che in esse si determinano. È un prodotto commerciale da vendere al cliente più profittevole. L’altro modello è invece legato a organizzazioni locali di Terzo settore, ed anche quando cresce in reputazione, affluenza e conseguente dimensione economica si trova a restare legato a doppia mandata con la propria comunità di riferimento. Com’è naturale che sia.
Due diversi modelli di sviluppo sui quali val la pena di riflettere.
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