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Tremonti taglia a sud-est

Polemica Studiosi di tutto il mondo contro la chiusura dell'Isiao

di Redazione

«Un atto di barbarie filistea, indegno di un Paese cosiddetto civilizzato» spara online Ian C. Glover, lettore emerito dell’University College di Londra. Chiudere l’Isiao «equivale a rinunciare all’influenza italiana in quelle che sono le aree più importanti del mondo: un’incredibile, tirchia, miope assurdità» per Hugo Blake, docente al dipartimento di Storia dell’università di Londra. «Una cattiva notizia per l’intero mondo accademico», gli fa eco dall’università di Pechino il professor Li Chongfeng, «la vostra istituzione ha fatto molto nel passato e noi tutti apprezziamo il vostro lavoro».
Sono solo alcuni dei quattromila messaggi arrivati in pochi giorni al sito www.giuseppetucci.isiao.it contro il rischio di chiusura l’Isiao, l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente finito, come altri, sotto la scure della manovra finanziaria. Il 18 giugno scorso il Consiglio dei ministri ne ha infatti decretato la soppressione.
Ma che cos’è l’Isiao? E perché in tanti, da ogni angolo del mondo, si mobilitano per questo istituto? L’Isiao nacque dell’unione di due istituti di fama internazionale, l’Istituto Italo-Africano (fondato nel 1906 come Istituto coloniale italiano) e l’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (fondato nel 33 da Giovanni Gentile e dal grande orientalista Giuseppe Tucci) e ha vissuto alterni momenti di crisi negli ultimi anni.
Due anni fa la sezione Controllo enti della Corte dei conti aveva ribadito l’esigenza di contenere il ricorso alle collaborazioni esterne secondo criteri di efficacia ed economicità e segnalato «il deterioramento dell’andamento gestionale». Durante la scorsa legislatura è stato salvato in extremis, con un emendamento proposto da Francesco Storace all’ultima legge finanziaria che intedeva sopprimerlo, emendamento che fu poi votato all’unanimità dal Senato.
«Dell’istituto sono importantissime le due biblioteche», spiega Luigi Goglia, docente di Storia dell’Africa all’università di Roma Tre, «e quello spazio di dibattiti e tavole rotonde sui Paesi asiatici e africani che è un riferimento sia culturale che scienfitico. Se dovesse sparire tutto questo, sarebbe davvero un’azione sciagurata. Basti pensare che la bibilioteca di testi africani è erede, fra gli altri, del patrimonio del vecchio Istituto coloniale italiano, con documenti importantissimi sulla nostra storia, dalle prime relazioni documentate con l’Africa a oggi passando per il colonialismo».
Ma quanto versa lo Stato per mantenere l’Isiao? «Due milioni 300mila euro l’anno su un budget complessivo di 6 milioni di euro», afferma Pio Mastrobuoni, consigliere d’amministrazione dell’istituto. «Il resto proviene dalle nostre attività, dai corsi di lingua alle pubblicazioni». Un deficit c’è: 600mila euro nell’ultimo anno. «Ma è un deficit non rilevante viste le attività», precisa Mastrobuoni. «Due anni fa era quasi il doppio, ci siamo impegnati a contenere le spese». Ma perché lo Stato dovrebbe investirci ancora? «Le faccio solo un esempio», risponde Mastrobuoni. «Nonostante gli accresciuti rapporti fra l’Italia e la Cina mancava finora un dizionario cinese-italiano. Grazie all’Isiao è in corso di stampa: 120mila voci. Sarà il più cospicuo in una lingua occidentale».

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