Famiglia

Tredici anni, romano Paga: 2mila lire l’ora

Mentre i loro coetanei vanno a scuola, 60 adolescenti di Roma lavorano fino a notte fonda in grandi capannoni. Da dove non escono neanche per mangiare. Trattati come piccoli schiavi. Così li hanno tro

di Mariateresa Marino

Piccoli lavoratori anche qui. Alle porte della metropoli che si prepara, volente o nolente, al Giubileo. E non sono i minori extracomunitari e i piccoli nomadi che siamo abituati a vedere per strada, ma bambini e ragazzi italiani, romani. Adolescenti, tra i tredici e i quindici anni, che abbandonano la scuola per lavorare. Accade alla periferia di Roma, una periferia neanche tanto lontana dal caos del centro. Alcuni sono arrivati a stento alla licenza media, altri si sono fermati prima. C?è bisogno di portar soldi a casa e non c?è tempo per studiare. Ancora prima che Sergio Cofferati dall?India lanciasse l?allarme sullo sfruttamento dei minori, il Nucleo carabinieri del lavoro, istituito presso il ministero del Lavoro nel luglio 1997 per stanare situazioni irregolari e fuori legge, aveva individuato diverse piccole aziende-fantasma che vivono sfruttando il lavoro di adolescenti. Ogni mattina, a poche decine di chilometri dal centro della Capitale, una sessantina di ragazzi, in prevalenza maschi, si recano sul posto di lavoro. Un grande capannone con venti postazioni, ossia una sedia e un bancone dove i giovani lavoratori confezionano e realizzano prodotti manifatturieri. Dove non possono arrivare le macchine, sono pronte le mani piccole e veloci dei ragazzi. Otto ore di lavoro giornaliero, con poche pause. Fino a tarda sera i giovani operai non possono uscire neanche per il pranzo. Anche a questo hanno pensato i padroni. Pur di non rendere sospetto il via vai dei ragazzi dall?abitazione al posto di lavoro, c?è chi prepara il pranzo per loro dentro il capannone. Insomma, una mensa aziendale a tutti gli effetti o una sorta di prigione. Dipende dai punti di vista. I ragazzi lavorano per due-tremila lire l?ora, circa venticinquemila lire al giorno. Le aziende (ma non si possono definire tali) non hanno alcun riconoscimento giuridico e non assicurano alcuna protezione sul lavoro. Si può quasi dire che non esistono, se non per i loro ?appaltatori?. I carabinieri del Lazio stanno passando al setaccio anche le zone attorno alla capitale. Agiscono sulla base di segnalazioni anonime o su movimenti sospetti di ragazzi che si recano ogni giorno negli stessi luoghi, che non sono di certo strutture scolastiche. «La nostra task force è formata da poche unità e comprende anche gli ispettori del lavoro» spiega il maresciallo Corciulo del comando generale del Nucleo carabinieri del lavoro «cerchiamo di agire con estrema cautela, nell?interesse dei minori che non vanno affatto colpevolizzati. Anzi, la responsabilità va addebitata ai padroni sfruttatori e ai genitori che permettono che questo avvenga». Stessa capillare ricerca si sta svolgendo in Sicilia, dove i carabinieri hanno concluso prima di Natale un?importante operazione che ha portato alla scoperta di decine di ?baby-schiavi? impiegati in fabbriche di abbigliamento nella zona di Bronte, in provincia di Catania. L?opinione di Riccardo Orizio Ma ricordatevi di Sonia Giudico fondamentale una premessa per affrontare il discorso del lavoro minorile nei Paesi in via di sviluppo. I nostri criteri di giudizio non sono esportabili in quelle bidonville dove non c?è da mangiare, la mortalità è altissima e c?è una bassissima alfabetizzazione. Io sono stato là, ho parlato con i bambini dei villaggi pakistani: erano in un certo senso contenti. Se non fossero a casa loro a lavorare, sottopagati e schiavizzati ma protetti dalla famiglia, dovrebbero comunque andare a lavorare, magari nei campi, abbandonati, sottoposti ad abusi sessuali. È chiaro che dal nostro punto di vista, questi ragazzini rappresentano delle generazioni bruciate, invischiate in uno sfruttamento economico scandaloso, senza la possibilità di risollevarsi. Forse è doveroso, sicuramente è giusto, protestare per questa vergogna. Credo di aver trasmesso nel reportage la mia vergogna. Ma non posso dimenticare la storia di Sonia, la bambina pakistana, fotografata da ?Life? mentre lavorava; il suo dramma ha fatto il giro del mondo, simbolo dello sfruttamento. Questa notorietà ha avuto come conseguenza che lei e la sua famiglia sono stati cacciati dal villaggio. inviato del Corriere della Sera


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