Nessun uomo è un’isola, diceva il poeta John Donne. E
nessuna donna è un’isola: la gioia dell’innamoramento è un’esperienza vissuta in ogni epoca, in ogni dove; le violenze dei compagni brutali, allo stesso modo, purtroppo esistono da quando ha avuto origine il mondo. La novità degli ultimi anni –enorme, importantissima, fondamentale- è la possibilità di poter parlare apertamente dei propri disagi relazionali; non c’è più niente di cui vergognarsi: l’opinione pubblica, nella sua quasi totalità, osserva con disgusto quelle persone che percuotono –fisicamente ma anche verbalmente- le proprie compagne. Ben vengano gli articoli di giornale, le trasmissioni televisive, i libri che parlano di questo odioso malcostume;
ben vengano gli spettacoli teatrali come Dolores, che andrà in scena
da oggi fino al 16 marzo –col patrocinio della Regione Lombardia, di
Amnesty International , di
Terre des Hommes Italia– a Milano, presso il
Teatro Studio Frigia Cinque. Abbiamo avuto modo di seguire l’anteprima qualche giorno fa, quindi lo affermiamo con cognizione di causa: è uno spettacolo che affronta un tema dolorosissimo ma senza affliggere gli spettatori;
la storia è drammatica, ma qui e là -come è giusto che sia- affiora anche il sorriso. È ovvio che, di fronte alle statistiche che parlano di una donna uccisa ogni tre giorni in Italia, il sentimento che prevale è lo scoramento. Però, non bisogna abbattersi: gettare la spugna sarebbe il peggior sfregio alla memoria di chi, incolpevolmente, si è ritrovata a vivere un amore sbagliato, sbagliatissimo. Sul palco, le protagoniste
Alessandra Basile e Lisa Vampa ci metteranno il talento ma soprattutto il cuore; la sensibilità della regista
Adriana Milani emergerà in tutta la sua nitidezza;
Stefania Gazzi, come sempre, darà il meglio di sé nel suo ruolo di
make-up artist.
Abbiamo intervistato Alessandra: una conversazione a 360 gradi perché Dolores, prima ancora che una storia di violenze domestiche, è un testo che fornisce infiniti spunti di riflessione sulla condizione femminile nel mondo di oggi. Il fatto che l’opera l’abbia scritta Edward Allan Baker, ovvero un uomo, fa ben sperare: significa che le due metà del cielo, in certi casi, riescono a comunicare tra loro proficuamente.
Da quanto tempo stai dietro a Dolores?
«Da parecchio. Quattro anni fa ho avuto l’opportunità, insieme a Lisa Vampa, di interpretare la versione originale con lo
slang americano. Ora abbiamo realizzato il sogno di poterlo allestire in italiano, spostando la vicenda dalla provincia americana (Rhode Island) a quella partenopea. Devo dire che ci ha dato un grande aiuto in termini d’immagine l’attenzione della
Fondazione Doppia difesa, creata da Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker».
Qual è l’Insegnamento più importante di Dolores?
«Ho avuto modo di parlare con Maria Rita Gismondo, presidente della
Fondazione Donna a Milano, che si pone come fine di offrire ascolto, conforto psicologico alle donne che hanno subito violenza: mi ha fatto comprendere che molte di loro hanno le idee confuse, sono convinte che la brutalità del partner sia in qualche misura una manifestazione di affetto, di attenzione. Lo spettacolo
Dolores deve fungere da campanello d’allarme: far capire che l’amore non ha niente a che vedere con la ferocia, sono due universi agli antipodi».
Che valore ha per te l’8 marzo?
«Credo che la dignità delle donne sia un argomento estremamente importante, non mi sembra serio confinare il tutto all’8 marzo. Personalmente provo una grande pena, una compassione sincera per le vittime che, in molti casi, non riescono a non amare il proprio aguzzino. Mi spaventa la loro psiche, non capisco fino in fondo perché si riducano in questo stato di sottomissione psicologica».
Ti è mai capitato di avere a che fare con uno stalker?
«Facendo tutti i debiti scongiuri, per il momento no. Io credo però che questo non sia un caso: probabilmente, negli anni ho acquisito una consapevolezza che mi permette di intuire da subito se di una persona c’è da fidarsi o meno».
Tra i personaggi femminili della storia del teatro, qual è quello che ti ha colpito di più?
«Mi viene in mente Hedda Gabler, personaggio creato da Ibsen: donna molto rigida, con un padre generale che le ha dato un’educazione ferrea, insegnandole a non far trasparire i propri sentimenti. Poi però è disperata: alla fine, piuttosto che accettare la sofferenza, l’umiliazione di aver perso l’unico uomo che ama si uccide. All’esterno dunque sembra boriosa, cattivella, in realtà ha dentro una fragilità. Quello che mi coinvolge in un personaggio come Hedda è la sua interiorità, così complessa e ramificata».
Lo scrittore Guido Ceronetti suggerisce di abolire la parola “femminicidio”, che abbasserebbe le donne a tutto ciò che in natura è di genere femminile. Condividi la sua disamina?
«Son d’accordo sì, mi disturba moltissimo come termine. L’idea stessa dell’ “omicidio di genere” mi disturba: viene ucciso l’essere umano, è questa l’unica cosa importante che bisogna sottolineare».
L’Italia è un paese maschilista?
«Secondo me sì, assolutamente. Naturalmente non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio, e poi c’è da dire che in molte occasioni sono le donne stesse a rinunciare volontariamente alla propria dignità».
Quali caratteristiche dovrebbe avere una donna che ricopre un ruolo dirigenziale?
«Chiunque abbia un ruolo di alto livello –quindi è un discorso che allargo anche agli uomini- dovrebbe sfoderare una leadership/autorevolezza, una visione ad ampio raggio; capacità di gestione delle risorse economiche ma anche gestione delle risorse umane, e quest’ultimo punto non è affatto frequente. Chi comanda deve tenere sempre in mente un obiettivo chiaro e definito. E stare vicino ai suoi dipendenti: come l’istruttore che entra nella vasca per insegnarti a nuotare con stile».
Quale fiore porgeresti alle donne che, in queste ore, stanno subendo maltrattamenti dai propri uomini?
«Porgerei un agrifoglio, che è simbolo di forza e resistenza; l’alloro, che indica la vittoria; il biancospino, che rappresenta la speranza e la prudenza. Hanno tanto, tanto bisogno di tutte queste virtù positive».
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