Erri De Luca scrive romanzi brevi, o racconti lunghi a seconda dell’ottica critica che si vuole assumere. Fatto sta che la misura breve dei suoi lavori possiede una forte capacità di presa presso i lettori, come se la brevità si addicesse esattamente ai tempi di simbiosi digestiva dei lettori stessi. Un uomo scappa dall’Argentina dei Generali, scappa dopo che un amore lo aveva portato in quella terra sconfinata e dopo che aveva ammazzato gli assassini della sua compagna: un viaggio in avanti e a ritroso nel corpo della propria vita, con un passato che terribilmente «sta per verificarsi nuovamente».
Il ritorno in Italia e l’impiego da giardiniere, l’incontro con gli alberi e con la loro saggia solitudine, sembrano avere aggiustato ogni cosa. Ma non è così. De Luca è famoso per la cura certosina sul senso dell’esistenza, per la biblica dedizione a cercare il significato di ogni piccolo indizio di vita. Tre cavalli, prima ancora dell’amore che racconta, “santifica” il sentimento umano dell’amicizia, quello nato dall’incontro tra il mussulmano Selim, venditore ai semafori, e il giardiniere che gli regala piccoli mazzi di mimose, dal quale apprende che la parola gratitudine ha radici profonde, ben oltre le piccole identità sociali, culturali o religiose che l’uomo sa inventarsi per sopravvivere.
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