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Traumi e malattia: presentato uno studio
Uno studio condotto all’Istituto ‘Mario Negri’ ha evidenziato la stretta correlazione tra traumi e sviluppo della Sclerosi Laterale Amiotrofica
di Redazione
Nel corso del convegno “Sclerosi Laterale Amiotrofica, i Malati e la Ricerca”,svoltosi nella sede milanese dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’, sono stati presentati i risultati di uno studio che ha evidenziato la stretta correlazione tra i traumi e lo sviluppo della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).
Durante i lavori sono, tra gli altri, intervenuti: Giancarlo Logroscino (Policlinico di Bari), Ettore Beghi, (Istituto Mario Negri – Milano), Caterina Bendotti (Istituto Mario Negri – Milano), Adriano Chiò (Ospedale Le Molinette – Torino), Massimo Corbo (Centro Clinico Nemo – Milano), Mario Melazzini (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), Anna Micheli (Istituto Mario Negri – Milano), Gabriele Mora (Fondazione Salvatore Maugeri – Milano), Vincenzo Silani (Istituto Auxologico Italiano – Milano), Eugenio Vitelli (Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi)
Dal settembre 2007 all’aprile 2010 sono stati intervistati 377 pazienti e 754 controlli (rapporto 1:2), abbinati per sesso ed età, appartenenti ai registri di popolazione del consorzio Eurals. Analisi multivariate, effettuate controllando gli effetti confondenti di altri fattori possibilmente implicati nella malattia, hanno dimostrato un’associazione tra l’evento ‘trauma’ e la patologia, documentando un rischio relativo di 1,51. I dati raccolti consentono, così, di attribuire inequivocabilmente all’evento trauma un ruolo di fattore di rischio per la Sla.
Successivamente si è verificato se anche il numero di traumi subiti risultasse fattore di rischio. I risultati ottenuti mostrano un andamento lineare: all’aumentare del numero di traumi aumenta anche il rischio di malattia. Il medesimo risultato è stato ottenuto limitando l’analisi ai traumi avvenuti 5 anni prima l’esordio della patologia ecludendo così eventi forse occorsi in epoche successive all’inizio dei sintomi.
Dalle analisi sono emersi risultati statisticamente significativi per l’evento trauma “Si vs No”, numero di traumi occorsi, gravità dei traumi e disabilità da essi indotta, sia considerando tutti i traumi che limitando le analisi ai traumi occorsi almeno 5 anni prima dell’insorgenza dei sintomi di Sla. L’analisi dei dati per sottogruppi ha permesso di verificare che il rischio era maggiore nei pazienti maschi e in coloro in cui la malattia era esordita agli arti (esordio spinale).
«Si può dunque concludere – ha sostenuto Ettore Beghi, del Laboratorio Malattie Neurologiche del Dipartimento Neuroscienze del Mario Negri – che l’evento ‘trauma’ sia un fattore di rischio per la Sla, soprattutto se ripetuto e inducente disabilità. Tale associazione è statisticamente significativa soprattutto nel genere maschile e nel gruppo di pazienti a esordio spinale. Non sembra invece esserci alcuna correlazione tra il sito di insorgenza della malattia e la sede dei traumi. Effettuando analisi per sottogruppi, alcune variabili da noi considerate solo come confonditori hanno assunto un ruolo ‘interessante’. Il caffè, ad esempio, è risultato quale fattore protettivo in tutte le analisi».
Caterina Bendotti, del Laboratorio di Neurobiologia Molecolare del Dipartimento Neuroscienze del Mario Negri, ha invece presentato i risultati di indagini precliniche su modelli sperimentali cellulari e animali, effettuate in team con altri gruppi coordinati da Valentina Bonetto e Lavinia Cantoni e mirate a capire le cause della morte selettiva oltre che ad individuare dei marcatori biologici specifici che permettano di fare una diagnosi precoce della malattia e di capire come si evolverà ed, in un futuro non troppo lontano, di sviluppare degli appositi kits diagnostici.
Bendotti ha inoltre presentato alcuni dati emersi recentemente dal laboratorio riguardo l’uso di cellule staminali da cordone ombelicale in due modelli animali affetti da degenerazione motoneuronale. «In particolare – ha spiegato Caterina Bendotti – è emerso che il ruolo benefico di queste cellule sulla progressione della malattia nei due modelli non è dovuto alla sostituzione cellulare ma, piuttosto, alla produzione e secrezione da parte di queste cellule di fattori di crescita e citochine antinfiammatorie». Un’ipotesi sostenuta anche in altri contesti patologici.
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