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Trapianti,legge boomerang.Fivet legge fantasma

I più furiosi sono i trapiantati:"Le nuove norme porteranno a una paralisi degli espianti".Intanto,l'assenza di norme sulla fecondazione provoca solo caos.

di Redazione

Quando la legge tocca la carne, l?etica, i passaggi fondamentali dell?esistenza quali la nascita, la malattia e la morte è facile perdere di vista i fatti e scivolare nel dibattito schierato, nell?opposizione di ideologie che non si incontreranno mai. E così spesso si smarrisce la realtà, la parte più importante cui leggi e legislatori dovrebbero sempre guardare. Per allontanarci dalle prospettive falsate abbiamo chiesto a chi lavora ogni giorno a contatto con i fatti, cioè le associazioni e i volontari, di guidarci alla scoperta di cosa occorre salvare di queste norme così vicine alla nostra vita. Senza preconcetti. Trapianti, una legge contestata da tutti«Sui trapianti in Italia circolano più bugie che realtà. E le principali che ho sentito in questi giorni sono: che in Italia ci sono pochi donatori e che la nuova legge piace alle associazioni di trapiantati». Parte subito all?attacco la dottoressa Franca Pellini dell?Aned, l?associazione che riunisce gli emodializzati, coloro che necessitano di un trapianto di fegato. Lei di questa legge approva solo il principio di fondo: il prelievo di organi è lecito, a meno che il defunto si sia espresso contro. Un meccanismo, quello del consenso presunto, in vigore in molti Paesi e che rappresenta secondo l?Aned un passo avanti rispetto alla legge di 23 anni fa. Quello che non va è invece il modo con cui questo si dovrà tradurre in pratica. «Andiamo verso una paralisi dei trapianti, altro che aumento», denuncia la dottoressa Pellini, che ha fatto gareggiare gli sciatori della squadra nazionale trapiantati di fegato con il lutto al braccio proprio per esprimere dissenso contro la legge. «In Italia abbiamo 19 prelievi di organo per milione di abitanti, una media accettabile. Ma con questa legge non avremo più neanche quelli». La legge divide la popolazione italiana in tre, o meglio, in quattro gruppi. Quelli che si definiranno donatori, restituendo il modulo dell?Asl, quelli che risponderanno di no e quelli che non risponderanno nulla. Questi ultimi saranno considerati donatori. Ma le persone cui la lettera non arriverà mai? «Ecco il quarto gruppo, considerati non-donatori», dice Pellini. «E visto che in Italia il 35% delle notifiche, del tribunale per esempio, non arrivano al destinatario, avremo un 35% di italiani che non saranno interpellati». Il problema del silenzio-assenso, poi, è stato malamente enfatizzato dalla politica. Vincenzo Passarelli dell?Aido (Associazione donatori di organi), fa osservare: «Anche se una persona non si è mai espressa, al momento di decidere i familiari possono produrre una sua dichiarazione autografa con cui si oppone all?espianto. Ma ila legge non chiarisce chi ne stabilisce l?autenticità». L?aspetto forse più fuori dalla realtà riguarda il capitolo sull?informazione alla popolazione e sul coordinamento dei centri trapianti. «Per l?invio dei moduli si sono stanziati 30 miliardi», ricorda Passarelli, «che divisi per 40 milioni di maggiorenni fanno 750 lire a testa. Non bastano per una lettera ordinaria, figuriamoci per una raccomandata…». E il collegamento tra i centri trapianti? L?informatizzazione necessaria a metterli in rete costerà un?infinità di quattrini, peccato che la legge stanzi solo un miliardo! E non è finita. La legge non considera il grande capitolo dei trapianti di midollo osseo, per cui – a differenza degli altri – è necessario essere vivi e vegeti e godere di buona salute. Per l?Admo (Associazione donatori midollo osseo, 250 mila soci registrati alla Banca del midollo) è l?ennesima porta chiusa. «Non abbiamo nessun riconoscimento governativo, siamo nati e continuiamo a esistere grazie a donazioni private», dice una dei responsabili, Beatrice Bosi. «La legge è ferma da tempo in commissione sanità del Senato, così chi vuole donare e lavora deve chiedere una giornata di permesso. Non retribuito». Fecondazione assistita, subito le regole Quando la legge non c?è, tutto è possibile. Anche i traffici di seme che arriva da chissà dove o la presenza sul ?mercato? (calcolato in almeno un migliaio di miliardi l?anno, la gran parte in nero) di medici praticoni e senza scrupoli. La proposta su cui tanto si è discusso nei giorni scorsi, se dovesse essere approvata, metterebbe invece dei paletti precisi. No ai donatori esterni alla coppia, no a coppie non sposate, no a gravidanze oltre i 52 anni. Ma soprattutto sì a controlli efficaci sulle strutture, i centri, i medici, le operazioni, a tutela degli aspiranti papà e mamme e dei loro futuri figli. Per questo molti ora dicono: giù le mani dalla legge. «Una normativa sulla fecondazione assistita è oggi più che mai necessaria», dice l?onorevole Lucà, vicepresidente Ds alla Camera. «Perché in questo campo regnano l?ignoranza, l?anarchia e il pericolo. Un vero Far West, che le recenti polemiche alla Camera sulla fecondazione eterologa non devono trasformare in un inferno. Anzi, è proprio da qui che bisogna partire: comunque vada la nuova discussione in Parlamento, e qualunque siano i possibili emendamenti, l?unica certezza è che il nostro Paese deve avere quanto prima una legge. È il momento di abbassare i toni della polemica e guardare all?interesse delle future generazioni». Un appello, quello di Lucà, rilanciato anche da medici specialisti di questo campo, professionisti seri stanchi di essere confusi con i ciarlatani. «I controlli e le verifiche non esistono», si infervora il dottor Domenico Danza, attivo da vent?anni nel campo della medicina della riproduzione e responsabile del centro ?Mediterraneo? di Salerno. «Chiunque può aprire un centro, metterci una bella targa e cominciare a lavorare. L?Ordine dei medici ha emanato alcune linee guida che, però, non sono vincolanti. L?Istituto Superiore di Sanità ha creato un apposito registro, ma non c?è neppure l?obbligo di iscrizione, quindi non si sa nemmeno quanti siano i centri operanti in Italia. E visto che il limite tra il ?fattibile? e l??accettabile? è sottilissimo, tutti fanno tutto, o quasi». Se passerà la legge così com?è, cosa accadrà? «Sulle questioni etiche non lo so, è difficile giudicare», ammette Danza. Che però su un punto è categorico: «Ricordiamoci che l?assenza di regole non giova a nessuno. Ecco perché i controlli e una vigilanza seria, stabilita per legge, sono così importanti». Eutanasia: se ne discuterà presto Ancora da noi non se ne parla, ma forse dovremo aspettare davvero poco per sentir parlare di eutanasia anche sui banchi del nostro Parlamento. La notizia è freschissima: una proposta di legge sul riconoscimento giuridico di una ?carta di autodeterminazione? del malato è già pronta e potrebbe essere presentata dall?onorevole Grignazzini dei Ds nei prossimi giorni sull?onda del dibattito su fecondazione e trapianti. L?ossatura della legge è costituita da un modulo, messo a punto dalla Consulta di bioetica di Milano, sul modello del living will (dichiarazione di intenti in vita) anglosassone, con cui una persona può influenzare l?operato dei medici e quindi decidere se essi dovranno curarlo fino alla fine oppure smettere a un certo punto, lasciandolo morire. Un modo per far lentamente accettare la ?buona morte?? «No», risponde il professor Maurizio Mori, filosofo e membro della Consulta. «L?eutanasia non è nominata nella proposta di legge, anche se non ci troverei nulla di male. Io sono favorevole. Ma da noi occorre andarci piano. Per ora parliamo solo di sospensione delle cure». I malati sono avvisati. Forse presto chi lo desidera potrà sostituirsi ai medici nel momento estremo, decidendo per l?uscita dalla vita. Un desiderio che i malati terminali hanno, sì, ma solo a volte. E solo in determinate circostanze sfavorevoli non dovute solo alla malattia. Secondo il dottor Mirko Bindi, oncologo e presidente di un Coordinamento di associazioni toscane che si occupano di malati di tumore, «il malato terminale chiede di morire se non è curato bene, ed essenzialmente se sente dolore. La terapia del dolore è indispensabile per garantire anche agli inguaribili condizioni di vita che non gli facciano desiderare la morte». Anche secondo il dottor Di Mola della Fondazione Floriani, nata per diffondere la cultura delle cure palliative, «il malato terminale che desidera morire cambia rapidamente idea quando viene curato e i sintomi sono alleviati. Chi chiede di morire sente cioè un disagio che i medici hanno il dovere di eliminare, prima di prendere in considerazione la sua richiesta». Più netta l?opposizione del professor Ghislandi di Vidas, l?associazione milanese che assiste gli inguaribili di cancro: «Alcuni malati chiedono al medico che li aiuti a morire ma, di fatto, non mollano un secondo il respiratore, non cercano di alzarsi o di togliersi la flebo. Non tentano, cioè, di fare da soli ciò che chiedono agli altri. Attenzione, decidere per loro sarebbe un sopruso».


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