Sostenibilità
Tragedia Marmolada. Non abbiamo imparato nulla
A un anno esatto dalla valanga che causò la morte di 11 persone sul ghiacciaio più esteso delle Dolomiti, Mauro Varotto, ordinario di geografia del dipartimento di Scienze storiche geografiche e dell’antichità dell'Università di Padova e da 20 anni operatore glaciologico in Marmolada, spiega che per fare veramente memoria avremmo dovuto interrogarci sul tipo di impronta carbonica che lasciamo sulla Terra, diventare turisti consapevoli e avviare una certificazione della sostenibilità turistica
Esattamente un anno fa, il 3 luglio alle 13.43 circa 64mila tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti rocciosi si sono staccate dalla Marmolada, nelle Dolomiti, causando 11 morti.
«Purtroppo però», spiega Mauro Varotto, «un anno dopo, ancora, continuiamo a non cogliere le relazioni tra quel che succede nel “micro” mondo della Marmolada e ciò che accade in quello “macro” del Pianeta. L’obiettivo di tutti è ancora, sempre e comunque, di cercare il modo per continuare ad accedere al ghiacciaio. Ma così perdiamo di vista il fatto che la Marmolada è una sentinella di quel che accade al nostro Pianeta. È come se in caso di furto in casa ci concentrassimo sull’allarme e non sui ladri».
Il più grande ghiacciaio delle Dolomiti, sta morendo a una velocità anche maggiore di quella che si prevedeva. Tra trent’anni potrebbe non esserci più. E la sua posizione, la morfologia e l’estensione lo rendono un osservatorio privilegiato per lo studio dello stato di salute di molti dei novecento ghiacciai italiani, tutti ambienti sensibili alle variazioni climatiche.
«I metri cubi che si sono staccati a luglio 2022», prosegue Varotto, «sono all’incirca l’1 per cento del volume totale. Mediamente la Marmolada perde all’anno un milione di metri cubi di ghiaccio. Dunque, quell’unico episodio eccezionale ha buttato giù un terzo del volume di fusione dell’intera annata. Almeno dopo la tragedia avremmo dovuto interrogarci sul tipo di impronta carbonica che lasciamo sulla Terra. L’auto che usiamo, l’acqua che consumiamo, il cibo che mangiamo, segnano in maniera indelebile il corso della vita del nostro Pianeta. Per fare correttamente memoria della tragedia del 2022 avremmo dovuto iniziare a interrogarci sulle nostre abitudini e cambiarle. Il nostro modo di essere turisti deve essere diverso».
Sul ghiacciaio, che possiamo definire morente, si confrontano attualmente due visioni diverse dell’economia di montagna, di turismo e di rapporti con l’ambiente alpino. Da un lato la visione business as usual di chi continua a investire su impianti di risalita e piste da sci, dall’altra quella di chi ritiene che questo modello economico sia ormai insostenibile e auspica che le politiche e gli investimenti seguano nuove direzioni.
«Ritengo sia necessario avviare una certificazione della sostenibilità turistica», conclude Varotto, «che misuri quanti rifiuti si producono, che consumo si genera e quale è la circolarità delle materie prime. Tutti calcoli che è giunto il momento di fare e che valgono sia per una struttura alberghiera sia per un impianto di risalita. Dobbiamo diventare viaggiatori consapevoli. Ma, anche, turisti informati perché il rischio c’è sempre in montagna, dunque, non esiste la sicurezza assoluta ma occorre conviverci diventando consapevoli dei rischi del luogo in cui siamo».
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