Famiglia
Traffico dorgani. Dubbi e paure
Dopo la denuncia di due suore di Nampula, raccolta da Vita, altri giornali ricostruiscono il traffico. Che per la prima volta sembra aver lasciato tracce.
Centinaia di bambini e bambine dei Paesi poveri rapiti e smembrati per collezionare occhi, fegati, cuori, reni, da vendere a uomini e donne, ricchi, bianchi e malati. Da anni, ong, missionari e famiglie denunciano i rapimenti di minori per traffico di organi. Da anni nessuno ci crede. Luoghi remoti, distanti. Leggende metropolitane. La realtà che supera l?immaginazione spegne ogni fiamma di rabbia e indignazione, l?orrore fa pensare che siano soltanto barzellette.
Per il caso Mozambico, però, le cose stanno andando diversamente. La storia ha fatto capolino in sordina, Vita è stata la prima a darne notizia, dopo uno scarno lancio Ansa del 7 febbraio. L?esplosione che dovrebbe seguire una denuncia di tale portata non c?è stata subito, i fatti venivano sussurrati, quasi ci fosse il timore di prendere un granchio. Poi sono arrivate le testimonianze delle missionarie e, a spazzare via ogni scetticismo, foto e video, nero su bianco, che un quotidiano sta per pubblicare. Le prove: ecco ciò mancava. Immagini, nomi e cognomi. E la stampa nazionale si mette in moto.
Lorenzo Sani, inviato de Il Resto del Carlino, è appena rientrato da Nampula, in Mozambico, dove ha viaggiato in incognito, con la paura di chi sa di muoversi in qualcosa di terribilmente sporco e pericoloso, spacciandosi per prete per evitare ritorsioni. Ha con sé le immagini che nessuno vorrebbe mai vedere e domenica il suo giornale dà il buongiorno a tutti gli scettici, con uno speciale di otto pagine. Un altro collega de L?Espresso è sugli stessi passi e così il francese Paris Match. Insomma, il caso sta esplodendo.
Il polverone suscitato dalle parole delle religiose di Nampula non scontenta l?ordine cui appartengono, i Servi di Maria. Anzi, è proprio quello che si proponeva padre Benito Fusco, della casa bolognese dell?ordine, attraverso il quale la denuncia è arrivata in Italia. “La nostra commissione Giustizia e pace, che si occupa della difesa dei diritti umani nei Paesi in cui siamo presenti, mi ha dato via libera per la diffusione della notizia. Abbiamo deciso che far conoscere l?accusa delle suore poteva essere utile per difenderle”. Oggi, riferisce padre Fusco, le religiose stanno bene, anche se sono chiuse in convento. Escono solo in gruppo, e solo se è strettamente necessario. Un confratello, padre Claudio Avalloni, da qualche giorno si trova lì con loro. Rimarrà un mese, poi verrà sostituito da un altro religioso. “Non abbiamo fatto sapere prima il suo nome”, continua padre Fusco, “perché c?era il rischio che gli fosse negato il visto. Il governo del Mozambico non ci tiene che si diffondano queste notizie”.
Ma in Mozambico non ci sono solo i Servi di Maria. Da anni è capillarmente diffusa (in 38 località) anche la Comunità di Sant?Egidio, autorevole e ascoltatissima presenza, talmente importante da aver avuto un ruolo di primo piano nella pacificazione del Paese in guerra da 16 anni. Da allora l?Onu di Trastevere (guadagnò questo soprannome proprio grazie a quell? episodio) è sempre attivamente presente in Mozambico. Chiara Turrini, in particolare, è l?esperta della comunità cui chiediamo di confermare o smentire i racconti delle suore di Nampula. “Non confermo, ma non posso neppure smentire”, dichiara, “perché effettivamente le prove di un traffico di organi non ci sono. Non mancano però le voci. E non solo quelle”.
Chiara Turrini conferma infatti il ritrovamento di cadaveri di bambini senza organi, come riferito dalle missionarie, anche se arriva a conclusioni diverse: “Se in Mozambico si trova un cadavere senza cuore la prima cosa da pensare, in mancanza di altri elementi certi, è che sia finito nelle mani di qualche setta dedita alla magia nera”, dice. Ma i bambini che spariscono? “Lo ripeto: le voci girano, e i genitori hanno paura. Il panico si diffonde a ondate, e attualmente l?allarme è alto. Ma nessuno dei ragazzini delle nostre comunità è mai sparito. Se ci fosse un traffico di organi, oltretutto, sarebbe strano che partisse da Nampula che è una città dell?interno, senza facili accessi alle frontiere”. Quindi lei esclude la presenza di un traffico di organi in Mozambico? “No, no, un momento, io non escludo niente. Dico solo che non ci sono le prove”.
ha collaborato Emanuela Citterio
Info:
La nemica degli orchi
I trafficanti di organi non dormono mai? Be?, neppure lei. La professoressa Nancy Scheper-Hughes (nella foto), docente di Antropologia medica all?università di Berkeley, è quello che gli inglesi chiamano un watching dog, un cane da guardia messo lì a vigilare sul traffico globale di organi umani. Sessant?anni, un passato da attivista pro diritti umani, è autrice di numerosi studi sulla tratta degli esseri umani a scopo di trapianto, da lei definita “una forma di invisibile violenza sacrificale”. Il suo impegno sul tema si è concretizzato nell?associazione Organs Watch, da lei fondata e presieduta, che ha riunito un folto gruppo di antropologi, attivisti dei diritti umani e medici che producono studi sul fenomeno della compravendita degli organi e sui suoi risvolti sociali. La combattiva professoressa è anche consulente dell?Organizzazione mondiale della sanità per i problemi connessi ai trapianti, e ha pubblicato nel 2003 un articolo su Lancet che ha fatto molto discutere, dal titolo Keeping an eye on the global traffic in human organs (Monitorare il traffico globale di organi umani) in cui racconta alcuni casi di compravendita di organi tra adulti consenzienti (uno dei quali ripreso pochi giorni fa da Repubblica). Nell?articolo la Scheper-Hughes descrive un proprio viaggio in Argentina, dove con l?associazione Organs Watch ha visitato un grande istituto per disabili mentali che era stato serbatoio di sangue, cornee e reni per gli ospedali vicini. In Canada, scrive ancora la docente sul prestigioso periodico scientifico, un ricco manager comprò un rene dalla propria domestica filippina. “Ma i medici che eseguono le operazioni come possono difendere queste mutilazioni prezzolate?”, si chiede la Scheper-Hughes.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.