Famiglia

Tra una pappa e l’E-mail

Conciliare i tempi della famiglia con quelli dell’ufficio sembra oggi davvero possibile. lavoro al computer o lavoro in tandem e scambiabile tra i coniugi.

di Giampaolo Cerri

Flessibile, dunque a misura di famiglia. Dalle nuove forme di lavoro sembrano arrivare buone notizie per chi deve conciliare un?occupazione e la gestione familiare. Le prime esperienze di telelavoro e job sharing, ovvero ?lavoro condiviso?, alimentano le speranze di quanti vorrebbero armonizzare i tempi del lavoro e quelli della famiglia. Ma siamo di fronte a progressi concreti o piuttosto alla propaganda del sistema industriale, desideroso di darsi strutture più ?leggeri? e meno rigide?
Il telelavoro, diffuso da un paio di anni in Italia, consiste nella possibilità di svolgere dal proprio domicilio attività che in precedenza venivano svolte in azienda. Un passaggio reso possibile dalla telematica: bastano un computer e un moden, un sito di posta elettronica e il gioco è fatto. Si lavora dal salotto di casa, prevalentemente nell?orario che più si concilia con le esigenze familiari. L?ideale per donne con figli, che all?impegno professionale devono coniugare quello di madri. Il job sharing consiste invece in un?occupazione condivisa con un?altra persona: un lavoro in tandem, insomma. L?azienda fissa degli obiettivi, la coppia lavora per raggiungerli, gestendo autonomamente i tempi. Una staffetta che sembrerebbe l?ideale, per esempio, per dei genitori che vogliano avere uguali opportunità di seguire i figli. Perché sempre la mamma al colloquio con i professori? E quanti padri vorrebbero andare dal pediatra con figli? Una modalità che potrebbe essere particolarmente indicata per quei nuclei che abbiano al loro interno anziani non autosufficienti o congiunti disabili: l?alternanza fra cure e lavoro potrebbe alleggerire la pressione psicologica. Recentemente disciplinato da una circolare del ministero del Lavoro, il job sharing, già diffuso all?estero, è stato introdotto per la prima volta in Italia dalla Sony di Rovereto, dove questo regime di impiego è stato scelto da 17 lavoratrici e un lavoratore, tutte neo mamme o neo padri. A fare la differenza con il part-time è la totale autonomia decisionale: le coppie fanno e disfano secondo i propri impegni, comunicando i calendari ogni due mesi.
«Vedo un rischio in queste nuove forme di lavoro», attacca Paola Soave, presidente del Sindacato delle famiglie. «Mi sembra cioé che venga meno quella funzione di relazione comunque svolta dal lavoro tradizionale». La responsabile del Sidef ricorda come «talvolta le donne scelgono di lavorare pur non avendone un bisogno stringente, proprio per non perdere questa possibilità di rapporto e di interazione con gli altri». Il pensiero corre a certi contesti urbani, alle grandi città dove il luogo di lavoro è pressoché l?unica possibilità di socializzazione per molte persone, specialmente donne.
Avremo dunque telelavoratrici soddisfatte in quanto madri, ma tagliate fuori dal mondo? E saranno davvero le migliori mamme per i loro figli? «Il fatto è che non si può risolvere il problema del lavoro e della famiglia negando l?uno o l?altra», conclude la Soave, per la quale «bisognerebbe innanzitutto riconoscere a uno dei due coniugi la possibilità di scegliere se lavorare o dedicarsi alla famiglia».
«L?importante è che queste nuove forme di impiego», commenta Luisa Quaranta, del Coordinamento genitori democratici, «rendano conciliabile l?esigenza della cura e dell?educazione dei figli con gli impegni professionali. E non si trasformino in scappatoie a cui le imprese ricorrono per far fronte a certi periodi di crisi».

L’opinione
Donne, attente al trucco
In Italia il telelavoro è ancora un fenomeno piuttosto marginale. Lo stanno sperimentando pochi grandi gruppi del settore delle telecomunicazioni e alcune aziende informatiche. Potenzialmente si tratta di una grande risorsa per la persona e particolarmente per la famiglia, a patto però che si tratti di attività qualificate. In caso contrario, è davvero assimilabile al vecchio lavoro a domicilio, molto diffuso in passato in alcuni settori industriali e artigianali. Insomma, ci può essere il rischio che si torni al cottimo, magari fatto davanti al monitor di un personal computer. Per lavoratori a qualificazione professionale medio-alta può invece trattarsi di una modalità che facilita la vita familiare, in quanto si ha modo di conciliare la tempistica dei diversi impegni. In genere, infatti, le aziende richiedono quotidianamente solo un paio di ore di ?compresenza?, periodo generalmente dedicato alla revisione di processi informativi e alla comunicazione diretta. Per il resto, viene lasciata assoluta autonomia: si può lavorare cullando il bambino. Il job sharing per adesso sembra davvero una chimera: si parla di un solo caso applicato e qualche ipotesi avanzata, qua e là, nella contrattazione aziendale. Più che all?interno di una famiglia, questa formula mi sembra più adottabile da persone di nuclei diversi. Se sono il marito e la moglie a spartirsi uno stesso lavoro, ci sono limiti chiarissimi: la coppia dovrebbe dividersi un solo salario e poi uno dei due sarebbe sempre assente.

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