Volontariato

Tra un Paolo e l’altro

Quali sono stati i suoi punti di riferimento, di Giulio Albanese

di Redazione

Un Papa in ascolto. È questa la dimensione che emerge più chiaramente scorrendo il film della visita di Benedetto XVI in Turchia. Un Papa che ci ha fatto passare dal turbamento alla speranza, che non si è fatto condizionare dalla paura. È stato coraggioso perché davanti a un?infinità di pregiudizi non ha mai pensato di gettare la spugna. Tutto fa capire come questo viaggio sia stato un viaggio destinato a lasciare il segno. Innanzitutto la scelta del luogo: una terra di confine, dove l?islam moderato fa i conti con una storia che è stata diversa e che evidenzia ancora i suoi segni. Un Paese diviso tra due continenti, che riveste quindi una funzione strategica. Poteva essere il terreno in cui i fautori dello scontro di civiltà trovavano conferme alle loro tesi: in fondo il Gran Muftì era colui che aveva reagito per primo al discorso di Ratisbona. Oppure poteva essere la loro sconfitta. È successa la seconda cosa, merito di Benedetto XVI che andando in Turchia ha lasciato che fosse lo Spirito a suggerirgli la strada. In secondo luogo c?è da considerare il santo sulle cui tracce il Papa si è messo: san Paolo. L?altro santo morto, come Pietro, a Roma, e che su queste rotte aveva sviluppato la sua missione ad gentes, capace di parlare a tutti. Paolo, come il nome di quel Papa, Paolo VI, che in tanti momenti di questo viaggio Benedetto XVI ci ha richiamato alla memoria. L?enciclica programmatica di Montini, l?Ecclesiam suam, è sembrata il riferimento più presente. Ha suggerito il primato del dialogo come riconoscimento della dignità dell?altro. Così tutti quelli che volevano ancora una volta usare la religione, strumentalizzandola, sono rimasti senza più terra sotto i loro piedi. Il dialogo è l?unica strada possibile su cui far crescere la speranza: il Papa voleva percorrerla e l?ha percorsa arrivando dove nessuno si sarebbe aspettato.


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