Welfare
Tra le strade della violenza per aiutare vittime di tratta e schiavitù
“La Puglia non tratta – Insieme per le vittime” è un progetto nato a livello regionale per offrire assistenza ed accoglienza alle vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo. In provincia di Foggia l’unità mobile della cooperativa Medtraining gira per le strade per intercettare donne e uomini ridotti in schiavitù
di Redazione
Si incontrano sempre meno donne nigeriane per le strade dello sfruttamento sessuale e lavorativo della provincia di Foggia, tanto che gli operatori della cooperativa sociale Medtraining impegnati nel progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, si chiedono che fine abbiano fatto. Un fenomeno riscontrato anche in altre zone d’Italia, che ha spinto ad interrogarsi sulle cause di questa presenza sempre più invisibile e dunque meno controllata. Intanto, c’è chi guadagna anche 200 euro al giorno, chi ne chiede 20 a prestazione. C’è chi ha due figli nel suo Paese d’origine e chi è costretta alla strada dal marito. C’è chi prima faceva la badante e chi è sposata con un cittadino italiano. Piccole storie di ordinaria e quotidiana violenza sulle donne che fotografano il drammatico fenomeno dello sfruttamento sessuale e lavorativo in Capitanata. Per questo, dal 2016 è nato a livello regionale il progetto che ha l'obiettivo di assicurare alle persone vittime di tratta adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza, protezione ed integrazione socio – lavorativa. L’iniziativa – finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri – è promossa dalla Regione Puglia – Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni ed Antimafia Sociale.
Il lavoro dell’unità mobile
«Il progetto ha la finalità di difendere le donne e gli uomini dal grave sfruttamento sessuale e lavorativo nel nostro territorio, che prevede la presa in carico individualizzata delle persone che vengono intercettate, vittime di questi reati e ridotte in schiavitù» spiega Roberto Lavanna, coordinatore del progetto in Capitanata. «Dall’1 luglio al 31 dicembre 2021, attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada, gli operatori hanno effettuato 145 contatti, percorrendo in modo particolare i tratti della SS 16 dell’Alto Tavoliere e del Basso Tavoliere, della SS 89 che porta a Manfredonia, della SS 673 Circonvallazione di Foggia. Le operatrici hanno inoltre effettuato uscite ed incontri anche nell’insediamento informale della pista aeroportuale di Borgo Mezzanone in collaborazione con l’organizzazione non governativa Intersos e nell’insediamento informale di Torre Antonacci in agro di San Severo. Offriamo servizi residenziali per ospitare otto persone vittime di tratta che sono uscite fuori dal circuito della violenza; inoltre» aggiunge Lavanna «garantiamo servizi di consulenza legale, psicologica e di inserimento lavorativo. Un aspetto importante di quest’ultimo anno di attività è rappresentato dal protocollo d’intesa siglato con la Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello status di rifugiato politico di Borgo Mezzanone e la collaborazione con le Commissioni sparse per l’Italia».
«Piangeva spesso davanti alla nostra macchina, non per sé stessa, per la sua situazione che pur avrebbe meritato disperazione. Piangeva per suo figlio. Gli aveva dato un nome importante, come ad elevarlo da un destino infausto, come a tracciare per lui una vita piena di traguardi. Gli aveva dato un nome importante per sopperire alla mancanza di un cognome: era figlio di un cliente incauto, di uno di quei vecchiacci che lei non ricorderà, di un marito, un padre che non ha voluto usare precauzioni perché tanto sulle e con le donne di strada tutto si può». Le operatrici dell’unità mobile girano lungo le arterie trafficate della provincia di Foggia. Incontrano donne, incrociano storie, ascoltano dolori. Donne e uomini che ogni giorno vengono sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo o domestico, delle economie illegali, dell'accattonaggio forzato o del traffico di organi. Donne soprattutto, come rileva la relazione che fotografa l’ultimo semestre di attività. «Le beneficiarie incontrate durante il lavoro dell’unità di strada sono soprattutto donne, provenienti per la maggior parte da Paesi quali Bulgaria (55%) e Romania (28,3%) che rappresentano la percentuale più alta delle beneficiarie contattate. Ma per le strade sono presenti anche donne che arrivano dalla dall’Albania, dalla Repubblica Dominicana, dall’Italia e dalla Nigeria» dice Marianna Carusillo, operatrice dell'unità mobile.
La questione Nigeria
Le nigeriane, dunque, continuano ad essere sempre meno presenti lungo le strade. Tra le possibili cause su cui si sta interrogando tutto lo staff di lavoro coinvolto, «la diminuzione degli sbarchi di donne nigeriane in Italia; lo spostamento verso le cosiddette Connection house, le case di prostituzione sparse in giro per i territori italiani; l’attività esercitata durante il periodo di Covid in indoor, nella case, utilizzando soprattutto i collegamenti su internet; l’editto dell’Oba (Re) Ewuare II, ossia la massima autorità religiosa del popolo Edo (che vive in Nigeria e nella zona del delta del Niger), che nel 2018 ha formulato un editto in cui revoca tutti i riti di giuramento che vincolano con maledizioni terribili le ragazze trafficate. Infine, anche un cambio di Paesi europei in cui si svolge il traffico di donne».
Per quanto riguarda i numeri delle donne incontrate, se si prende in considerazione lo stesso periodo di riferimento degli scorsi anni, va registrata una leggera diminuzione. Questo, però, non vuole dire che il fenomeno della tratta e dello sfruttamento lavorativo sia scomparso nel nostro territorio. Anzi. In questo periodo di tempo sospeso a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 – che ha rallentato non solo le donne ma anche le operatrici – è diventato ancora più subdolo, più invisibile. Molte delle donne incontrate dagli operatori sulla strada, infatti, hanno raccontato di aver esercitato l’attività prostitutiva all’interno di appartamenti, venendo così meno anche la possibilità di accedere a visite mediche specialistiche e di prevenzione, accompagnamenti sanitari presso le varie strutture, incontri individuali. Il progetto, giunto ormai alla quarta annualità, si svolge in collaborazione con sette enti anti tratta del territorio regionale: le cooperative sociali Medtraining (Foggia), Comunità Oasi2 San Francesco onlus (Trani), Atuttotenda (Maglie-Lecce), CAPS (Bari); le associazioni Giraffa! (Bari), Micaela (Adelfia-Bari), Comunità Papa Giovanni XXIII (Brindisi).
Foto di Pina Suriano
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