Cultura
Tra la vita e la morte: abusi e torture nei campi di detenzione in Libia
Il rapporto Amnesty International fa ancora una volta luce sulle terribili condizioni inumane dei migranti detenuti nei campi di detenzione in Libia. Decine di migliaia di donne, uomini e bambini che subiscono ogni giorno violazioni e abusi indicibili
di Redazione
Decine di migliaia di donne, uomini e bambini subiscono violazioni e abusi indicibili in Libia. Solo perché sono rifugiati e migranti. Sono intrappolati in un paese dilaniato dal conflitto, dove la mancanza di leggi e l’impunità diffusa permettono ai criminali di prosperare. Molti, temendo per la propria vita e senza alternative legali per lasciare il paese, si sono imbarcati su fragili gommoni nel tentativo di raggiungere l’Europa. Sono sempre di più quelli che vengono fermati e riportati in Libia, vittime delle misure europee per chiudere la rotta del Mediterraneo e contenere le persone nel paese. La maggior parte dei rifugiati e dei migranti in Libia provengono dall’Africa sub-sahariana e del nord, con una piccola percentuale originaria dell’Asia e del Medio Oriente. Hanno lasciato i loro paesi per svariate ragioni. Alcuni sono fuggiti da guerre, persecuzioni, carestie. Altri cercavano un’istruzione o un lavoro migliore. Molti sono determinati a rimanere in Libia, altri sognano l’Europa o sono costretti a farlo per il peggioramento delle condizioni in Libia. Tutti hanno in comune il desiderio di vivere in sicurezza e dignità.
«Un paese ridotto a pezzi da anni di guerra è diventato un ambiente ancora più ostile per rifugiati e migranti in cerca di una vita migliore. Invece di essere protetti, vanno incontro a una lunga serie di agghiaccianti violenze e ora sono persino ingiustamente accusati, per motivi profondamente razzisti e xenofobici, di aver diffuso la pandemia da Covid-19», ha dichiarato in una nota ufficiale Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.«Nonostante tutto questo, anche quest’anno l’Unione europea e i suoi stati membri stanno portando avanti politiche che intrappolano decine di migliaia di uomini, donne e bambini in un circolo vizioso di crudeltà, dimostrando un cinico disprezzo per la loro vita e la loro dignità», ha aggiunto Eltahawy.
«Poiché le autorità libiche seguitano a non agire a fronte di un consolidato sistema di violenze contro i rifugiati e i migranti, l’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero rivedere completamente la loro cooperazione con la Libia, condizionando ogni ulteriore forma di sostegno all’adozione di misure immediate per fermare le orribili violenze ai danni dei rifugiati e dei migranti, come ad esempio porre fine alla detenzione arbitraria e chiudere i centri di detenzione per migranti. Fino ad allora, nessuna persona soccorsa o intercettata in mare dovrebbe essere fatta tornare in Libia e, al contrario, dovrebbe essere fatta approdare in un porto sicuro», ha proseguito Eltahawy.
Perché sono intrappolati in Libia? Dal 2016 i paesi europei hanno messo in campo una serie di misure per bloccare le rotte migratorie dalla Libia attraverso il mar Mediterraneo. Hanno equipaggiato la Guardia costiera libica per intercettare rifugiati e migranti e riportarli in Libia, impedito alle persone soccorse in alto mare di sbarcare in Europa, criminalizzato il lavoro delle Ong di ricerca e soccorso, stretto accordi con le autorità locali e le milizie per impedire alle persone di lasciare la Libia.
Queste politiche di contenimento hanno lasciato centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini a languire in Libia. Rifugiati e migranti che tentano la traversata sono intercettati in mare dalla Guardia costiera libica, supportata dall’Unione europea, e riportati in Libia, dove vengono detenuti per un tempo indefinito in condizioni disumane, a rischio costante di abusi e violazioni.
Abusi e violenze. Rifugiati e migranti rinchiusi nei centri di detenzione ufficiali sono intrappolati in un circolo vizioso di abusi ed estorsione, in condizioni disumane e a volte mortali. Separati dalle loro famiglie.I sopravvissuti raccontano di torture, altri trattamenti inumani e degradanti, violenze sessuali, sfruttamento lavorativo. Alcuni rifugiati e migranti sono detenuti in luoghi in mano a gruppi armati e trafficanti. Quelli che non sono nei centri di detenzione, sono costretti a vivere nell’ombra, vulnerabili a tutta una serie di abusi, inclusi attacchi fisici, rapimenti, furti, violenza sessuale, traffico di esseri umani, lavoro forzato, espulsioni sommarie. Nella città di Mazda, a sud ovest di Tripoli, uomini armati hanno aperto il fuoco contro 200 migranti detenuti in un magazzino gestito dai trafficanti, uccidendo 30 uomini e ferendone altri 11. Il resto sono dispersi, potrebbero essere stati uccisi o divenuti vittime del traffico. Su alcuni dei corpi delle vittime sono visibili cicatrici e bruciature, segni di possibili torture.
Intrappolati nel conflitto. Tra l’aprile del 2019 e il giugno 2020, il conflitto è divampato a Tripoli e nei suoi sobborghi, tra le forze di sicurezza e le milizie affiliate al Governo di accordo nazionale (Gna), internazionalmente riconosciuto e sostenuto dalle Nazioni unite, guidato dal primo ministro Fayez al-Sarraj e basato a Tripoli, e l’autoproclamatosi esercito nazionale libico (Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar e affiliato al governo ad interim basato nella zona est. La graduale avanzata delle forze del Gna ha spinto l’Lna fuori dalla capitale nel giugno del 2020, e le ostilità si sono spostate nel centro del paese. Sui civili ricade il peso del conflitto, che ha portato a migliaia di morti, feriti e oltre 400.000 sfollati. Violazioni delle leggi internazionali sono da ascrivere a entrambe le parti così come possibili crimini di guerra. Nonostante l’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fin dal 2011, Russia, Turchia ed Emirati Arabi Uniti continuano a supportare fazioni rivali con trasferimenti illegali di armi e supporto militare diretto.
Il conflitto in corso rende ancora più vulnerabili rifugiati e migranti. Il 2 luglio 2019, colpi di artiglieria dell’Lna hanno bersagliato un centro di detenzione a Tajoura, nella periferia est di Tripoli, uccidendo e ferendo decine di rifugiati e migranti. Lo stesso centro di detenzione era già stato colpito il 7 maggio 2019, ferendo due persone. Il Gna ha posizionato un deposito di munizioni nei pressi del centro.
Che cosa fare? Non ci sono soluzioni facili, ma tutti paesi dovrebbero almeno impegnarsi a non peggiorare la situazione di rifugiati e migranti in Libia. Dovrebbero lavorare per assicurare la stabilità, la sospensione del conflitto e la protezione dei diritti umani in Libia. Contemporaneamente, relativamente alla situazione di rifugiati e migranti le autorità libiche dovrebbero: Rilasciare immediatamente tutti i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti trattenuti nei centri di detenzione, decretandone l’immediata chiusura. Le autorità libiche, con il supporto degli attori umanitari sul terreno, dovrebbero assicurare alle persone rilasciate l’accesso – senza discriminazioni – ai servizi essenziali, inclusa l’accoglienza e l’accesso ai servi sanitari. Depenalizzare l’ingresso irregolare, così come la permanenza e l’uscita dal paese. Fermare lo sbarco di migranti e richiedenti asilo in Libia, in quanto non è considerato porto sicuro. Garantire l’accountability, anche cooperando con i servizi di indagine del Consiglio per i diritti umani e identificando i responsabili di violazioni e abusi nei confronti di migranti e rifugiati per portarli davanti alla giustizia. L’Europa e i suoi stati membri devono astenersi dall’offrire alla Libia ulteriori strumenti di cooperazione per contenere le persone nel paese, fino a che non vengano prese misure concrete per implementare le misure sopra descritte. Dovrebbero inoltre accordarsi su misure per assicurare alle persone salvate in mare lo sbarco in un porto sicuro, che al momento non può essere la Libia.
Infine, la Libia e la comunità internazionale dovrebbero operare congiuntamente per assicurare assistenza a rifugiati e migranti intrappolati in Libia, dedicando risorse sufficienti ad assicurarne il rispetto dei diritti. È importante riprendere e potenziare i programmi di evacuazione umanitaria dal paese, nello specifico attraverso i programmi di ricollocamento e la creazione di altre rotte sicure e regolari verso l’Europa.
Ovunque in Libia le persone vengono commerciate, rapite, abusate…noi siamo stati rapiti e picchiati. Mia moglie ha ancora i segni delle percosse sul volto e sulla schiena
Farah, 24 anni, dalla Somalia
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.