Formazione

Tra l’Italia che fa e quella che pensa c’è Communitas

Una rivista che prima racconta e poi cerca di interpretare. Senza spocchia e senza bontà residuali. In anteprima un passaggio dell’editoriale che apre il primo numero di Aldo Bonomi

di Redazione

C omunità è una parola fantasmagorica. Fantasma di ciò che non è più: la comunità appunto. Allegoria di ciò che ci manca, di ciò che sentiamo come una mancanza: la comunità come assenza. In grado di evocare gli spettri di Marx e i legami di sangue e suolo che nell?ipermodernità ripropongono il senso e il significato dell?essere in comune, il comunismo appunto, e il suo contrario, il fondamentalismo. Parola maledetta e benedetta al punto di essere il primo tassello delle utopie e contemporaneamente la pratica delle eterotopie. La prima, si sa, rimanda agli ideali da realizzare in un futuro che verrà sorretto dalle ideologie, la seconda ai luoghi e alle pratiche del qui e subito. E si potrebbe continuare nel gioco delle buone letture citando in poche righe Derrida, Bauman, Foucault a giustificazione del nostro insano gesto: pubblicare una rivista titolata Comunità. Perché così la avremmo denominata se avessimo incontrato prima Laura Olivetti, erede con la sua fondazione della rivista fondata e diretta da Adriano Olivetti. L?abbiamo allora declinata al latino, Communitas, prendendo a prestito dall?amico filosofo Roberto Esposito il titolo del suo libro con appresso il bagaglio di buoni consigli per maneggiarla sempre come una assenza, come una voglia da tener dentro per attraversare la dittatura del presente. (?) Rivista di racconto Communitas nasce come rivista di racconto. Il racconto del farsi della società di mezzo. Nel nuovo vicinato che svela quello che c?è in comune nella vita e nel lavoro delle persone. Altro dalle forme di coagulo e di rappresentanze degli interessi e delle passioni cui eravamo abituati: le rappresentanze sociali e la forma partito. Scavando nell?ambivalenza dell?associazionismo e del volontariato. Non è un caso che Communitas si accompagni alla più che decennale esperienza di Vita. Stare a monte e a valle dei processi, non basta più. Per questo ci occupiamo di società di mezzo. è un elenco ragionato di piccole cose. Piccole in confronto alla potenza del fare sindacato dei lavoratori e delle imprese, in cui si è strutturata la società di mezzo nell?epoca del conflitto verticale tra capitale e lavoro. Piccole cose. Piccole storie tenute assieme dal produrre capitale sociale che altro non è che il valore di legame che produce la relazione dell?Io verso il Tu. (?) Basterà il racconto? Serve una rivista di racconto o di interpretazione? Per capire siamo partiti dal nostro fare nuovo vicinato. Altro non è la redazione di Communitas. Ci aiuta nel darci risposte il ragionar di Marco Revelli sulla fine e la crisi della figura del militante. Figura tutta di interpretazione che sapeva sempre dove andare e dirlo, soprattutto agli altri. L?esperienza di Vita e gli scritti di Zamagni sull?ambivalenza e la surdeterminazione del volontario. Communitas non è né una rivista militante né la rivista ove il volontariato fa interpretazione di sé. Più semplicemente sarà un luogo comune ove si mette in comune l?essere in comune. Nel lavorare, nel vivere quotidiano attraversando l?economia, il sociale, la politica. Ci interessa dialogare con tutti coloro che avvertono quanto sia inadeguato lo spazio della rappresentanza di sé, la società di mezzo, e lo spazio pubblico, la politica. Quelli della diaspora Una rivista della diaspora, che si fa partendo dalla voglia di nuovo vicinato di coloro che si sottraggono alle forme del tempo presente come uniche forme possibili di racconto. Mettendo assieme chi fa associazionismo, volontariato, cooperazione sociale, sindacato e rappresentanza dell?intraprendere sino alle fondazioni bancarie. Perché molteplici sono oggi i luoghi della diaspora. Anche lo spazio della politica. Il far diaspora in politica non è il terzismo rispetto ai due poli del mercato politico, ma sentire l?esigenza di darsi nuove forme di spazio pubblico. Cercheremo di non avere né la spocchia dei militanti, né la bontà residuale del volontario. Non saremo un gruppo di intellettuali che fa interpretazione ma più semplicemente degli accompagnatori, dei commentatori, del racconto insopprimibile del voler essere in comune.

Aldo Bonomi


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA