Il report

Tra inquinamento e alluvioni, la sfida dell’acqua in Ue

Meno del 40% dei corpi idrici superficiali raggiunge lo stato buono in Europa e, negli ultimi dieci anni, non ci sono stati miglioramenti. Ad affermarlo è l'Agenzia europea dell'ambiente. La direttiva Acque, approvata oltre un ventennio fa, non è servita a fare progressi. Per gli ambientalisti, la norma non viene presa sul serio dai governi nazionali. Intanto il cambiamento climatico pone nuovi problemi

di Elisa Cozzarini

L’Agenzia europea dell’ambiente – Eea ha pubblicato in questi giorni un report dettagliato sullo stato di salute dei corpi idrici nell’Ue, da cui emerge una situazione preoccupante: siamo lontani dagli obiettivi di qualità stabiliti dalle norme europee. La direttiva quadro Acque, approvata nel 2000, prevedeva il raggiungimento dello stato ecologico buono per tutti i corpi idrici entro il 2015 o, in alcuni casi, entro il 2027. Ma oggi solo il 37% delle acque superficiali nei 27 Stati membri è ecologicamente buono o eccellente e appena il 29% è chimicamente buono. In più, l’Eea sottolinea che non ci sono stati miglioramenti negli ultimi dieci anni. Inquinamento, degrado degli ecosistemi, impatti del cambiamento climatico e sfruttamento eccessivo sono le pressioni a cui sono sottoposti i laghi, i fiumi, le acque costiere e sotterranee in Europa.

Per Claire Baffert, dell’Ufficio per le politiche europee del Wwf: «Lo stato pessimo delle acque europee dimostra che gli Stati membri evitano, un anno dopo l’altro, di affrontare la crisi idrica. La direttiva Acque è in vigore da oltre vent’anni ma i suoi obiettivi non vengono raggiunti perché i governi non prendono sul serio quanto prevede la norma. Non solo, ci sono continue pressioni per indebolire gli standard della direttiva, così da rendere più facili certi progetti impattanti. Il rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi conferma questa tendenza, mentre ciò di cui abbiamo davvero bisogno è mettere al primo posto la protezione delle nostre risorse idriche».

Vecchi e nuovi inquinanti

L’assenza di progressi per quanto riguarda la qualità chimica, si legge nel report, può essere in parte collegata alla persistenza di alcuni inquinanti, quali mercurio e i ritardanti di fiamma bromurati (Bfr- brominated flame retardants), che sono particolarmente persistenti e difficili da eliminare. Se non si considerassero queste sostanze, l’80% delle acque superficiali raggiungerebbe lo stato buono. Allo stesso tempo, però, stanno emergendo nuove sostanze, come i Pfas, composti per- e polifluoroalchilici pericolosi per la salute umana e diffusi ormai ovunque siano stati cercati. Di queste sostanze, al momento, non si conosce con esattezza la presenza a livello europeo.

Le riserve sotterranee forniscono due terzi dell’acqua potabile e sostengono ecosistemi fondamentali come le zone umide e i fiumi. Secondo il report dell’Eea, il 91% è quantitativamente in salute e il 77% ha un buono stato chimico. Fertilizzanti e pesticidi rappresentano la principale minaccia per le falde e, tra il 2000 e il 2021 non c’è stata una riduzione dei nitrati. L’agricoltura ha un impatto pesante anche sulle acque superficiali: quantitativi oltre la soglia consentita di uno o più fitofarmaci sono stati trovati in tutti i corpi idrici analizzati tra il 2013 e il 2021. Il settore agricolo è quello che consuma di gran lunga più acqua (il 59%) e, se non verranno introdotte nuove pratiche per ridurre il bisogno di l’irrigazione, è probabile che la domanda cresca ancora, a causa del riscaldamento globale.

La sfida del clima

Scarsità idrica e alluvioni sono le due facce del riscaldamento globale per gli ecosistemi acquatici. Provocano danni enormi, come quelli che si stanno verificando in questi giorni, ancora una volta, in Emilia-Romagna e in altre aree del Paese. L’Eea ha calcolato che siccità e ondate di calore nel 2022 sono costate, in tutta l’Ue, 40 miliardi di euro, mentre il prezzo pagato per le alluvioni in Germania, Belgio e Paesi bassi del 2021 è stato di 44 miliardi. Se non verranno adottate adeguate politiche di mitigazione e adattamento, si stima che i costi diretti delle alluvioni si moltiplicheranno per sei per la fine del secolo.

La gestione futura dell’acqua, quindi, dovrà considerare non solo le problematiche già note, ma imparare a far fronte a nuove sfide, per la salute e il benessere della società e dell’ambiente. È una strada che il Green deal dell’Ue prevede già: il ripristino della continuità fluviale e la riconnessione dei corsi d’acqua con le piane alluvionali, la rinaturazione delle zone umide e delle torbiere dovrebbero essere viste come essenziali per garantire servizi ecosistemici quali acqua di buona qualità e stoccaggio di carbonio. Dovrebbero essere adottate su ampia scala soluzioni ingegneristiche basate sulla natura, le nature-based solution, capaci di trattenere e rallentare il flusso dell’acqua, per mitigare l’effetto delle alluvioni.

In Europa sono state censite almeno 1,2 milioni di barriere trasversali (dighe e briglie), che interrompono la continuità fluviale e peggiorano la qualità dei corpi idrici in modo significativo. Con la Strategia europea per la biodiversità al 2030 e la Nature restoration law, l’Ue chiede la riconnessione di almeno 25.000 km di corsi d’acqua. Ma la sfida del cambiamento climatico porta anche al moltiplicarsi di progetti per nuovi sbarramenti, che trattengano l’acqua in caso di siccità e, in altri casi, per mitigare il rischio alluvionale. Non sarà facile trovare un equilibrio tra spinte contrapposte.

In apertura il fiume Tagliamento. Foto di Elisa Cozzarini

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