Non profit

Tra i poveri di oggi non basta essere Dame

Micaela Dickmann - Centro sociale vincenziano

di Maurizio Regosa

Da sei anni Micaela, storica dell’arte free lance, dirige una struttura a Roma che accoglie centinaia di senza fissa dimora, ex carcerati, tossicodipendenti e anziani in difficoltà. Puntando tutto su fund raising e buone relazioniNon sono più quelle. Le dame in veletta che vanno, in gran riserbo, di porta in porta a portare conforto ai poveri, sono cambiate. Eccome. Oggi fanno fund raising, intessono relazioni e alleanze. Lavorano per consolidare comunità alla luce del sole e nei quartieri delle città. A Prati, ad esempio, nel cuore della capitale c’è il Centro sociale vincenziano, un’associazione presieduta da sei anni da Micaela Dickmann, mamma dinamica e studiosa d’arte free lance. Alterna la ricerca per le sue pubblicazioni all’attività solidale. «Accogliamo i senza fissa dimora. La mattina per le colazioni, il pomeriggio per la merenda e la doccia. Da lunedì a venerdì, accogliamo circa 100 persone. È il nostro servizio. Per ciascuno compiliamo una scheda personale: l’idea è quella di attivare progetti personalizzati di recupero».
Un impegno molto diverso da quello delle dame di un tempo…
Le signore che san Vincenzo volle avvicinare alla povertà inizialmente mandavano dai poveri le loro donne di servizio. Noi non siamo più “dame”, siamo soltanto vincenziane.
In cammino verso la modernità.
Sì. Non andiamo più nelle case dei disagiati o nelle borgate. Abbiamo questo centro all’interno del quartiere che intende sempre più relazionarsi con il territorio circostante.
Da dove prendete le risorse?
Dal fund raising. Ci presentiamo a tutti: bussiamo ai presidenti di municipio, alle fondazioni, alle istituzioni, ai commercianti. Chiediamo l’elemosina per fare del bene. Magari usando le relazioni che abbiamo. Senza mondanità ovviamente, ma se le hai è giusto usarle per portare avanti i progetti. Ti capita di conoscere il presidente di una fondazione a un ricevimento, magari gli accenni qualcosa e poi gli chiedi un appuntamento per parlargli di una iniziativa…
La mattina va in una pasticceria del quartiere…
La gestisce un mio compagno di scuola. Mi è venuta l’idea leggendo una rivista. L’ho chiamato, lui ha accettato e da allora molti cornetti per le colazioni arrivano da lì. Ora vorrei fare fund raising nelle scuole del quartiere, ai centri sportivi. Arrivare ai giovani per spiegare loro che il volontariato fa parte di sé, non è solo occuparsi dell’altro. L’altro, come dice Enzo Bianchi, siamo noi.
Nella vita cosa fa?
Nasco storica dell’arte, sono sposata. Negli anni 80 ho lavorato nella galleria di Paolo Portoghesi, l'”Apollo d’oro”. Poi ho avuto le figlie – oggi hanno 22 e 16 anni – e sono rimasta a casa ad occuparmi di loro. Nel 2000, con una collega storica dell’arte, abbiamo iniziato a fare le free lance. Insieme abbiamo scritto due volumi, uno sulla Roma del Giubileo e l’altro su due incisori di cammei. In preparazione c’è un libro sugli argenti di una famiglia nobile romana.
Quando scrive?
In biblioteca, la mattina per lo più. Nei momenti liberi. Un po’ a mosaico. Ora ho appena finito un libretto – Non esistono parole che mi possono ospitare – dedicato a una transessuale morta a dicembre. Si chiamava Erica: se n’è andata a 25 anni per una pasticca. Il titolo è tratto da Etty Hillesum, morta ad Auschwitz. I proventi vorrei andassero al Centro.
La sua famiglia l’appoggia?
Certo. Quando mi hanno coinvolto anche nella responsabilità di rappresentare l’associazione, ci siamo riuniti e ho detto: «Sto prendendo un impegno. Chiedo la vostra collaborazione». Ero convinta, e lo sono ancora, che la decisione dovesse essere presa da tutti. «Aiutatemi a essere una vincenziana», ho detto. E loro mi hanno subito sostenuto.
Tornando al centro, che tipo di progetti attivate?
Cerchiamo di indirizzare le persone in difficoltà a un corso di formazione, di immetterle nel mondo del lavoro. La prima dignità dell’uomo deriva dal lavoro. Non è semplice: sono persone che hanno difficoltà di relazione. Ex carcerati, tossicodipendenti o che hanno avuto problemi di droga e alcol. Non mancano anziani che non arrivano alla fine del mese. Per tutti loro abbiamo organizzato anche piccoli eventi.
Del tipo?
Lo scorso anno, una visita guidata per le chiese di Roma. Ho bussato, trovato delle risorse, una famosa gastronomia ci ha regalato i cestini e siamo andati a fare questo tour. Mi piacerebbe farne più spesso di iniziative di questo genere. Ora sto cercando di organizzare un evento di artisti di strada per gente di strada. Potrebbe servire a far conoscere il centro e raccogliere risorse per sostenere le spese generali, ammodernarlo, per ampliare il numero delle docce. Ne abbiamo tre, ma sono poche. Devo fare in modo che questo centro, che vive di donazioni, sia autosufficiente in modo che noi possiamo dedicarci al dialogo e all’accoglienza. Coinvolgendo anche altre realtà. Ad esempio vorrei coinvolgere i carabinieri in pensione.
Prati è un quartiere sensibile?
Ci sono tantissimi uffici. Ma io ho sempre trovato aiuto. Tanti cornetti che distribuiamo vengono dal bar. Credere o non credere, è un fatto personale, ma quando ci si mette in moto per il povero, scatta la Provvidenza manzoniana. Qualche mese fa sono andata in parrocchia, dove sono stata catechista per dieci anni. «Padre Alessio, martedì non posso venire perché devo andare a caccia di coperte». Erano giorni piuttosto freddi. Lui mi ha detto: «Oggi mi sono arrivati questi soldi: compriamole».

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