Non profit

Tra Generazione X e Shared Value

di Elena Zanella

Certe volte trovo quasi prepotente il bisogno che abbiamo di sentirci insieme.

Riflettevo su questo concetto qualche giorno fa a colloquio con due organizzazioni. Ma ad alta voce, questa volta. Dopo mesi in cui si leggono e si esprimono concetti quali condivisione, connessione, contaminazione, corresponsabilizzazione, coworking, comarketing, cohousing. Per dirne alcuni.

Declinazioni di un più ampio “Rete” nel quale ci troviamo immersi fino al midollo. Tutti, chi più chi meno, connessi in mondi diversi tra reali e virtuali in cui è crescente la consapevolezza che  il virtuale è molto più reale di quello che si pensi. Anzi, che altro non è forse che un artefatto di cui non possiamo più fare a meno e di cui, come conseguenza, dobbiamo avere rispetto. Un loop contemporaneo e un po’ alla Gaber, per intenderci, di una più classica dicotomia destra e sinistra. O, per farla semplice, né carne né pesce.

Generazione dopo generazione, tutti noi siamo il prodotto dell’eredità lasciata due generazioni fa. Ed è così che da quelli come me – nati negli anni ’70, sopravvissuti a Christiane F. e al Muro di Berlino, definiti da “chi ne sa”, generazione perduta (da qui, generazione X) –  parte questa grande voglia di sentirci insieme. Di riscattarci. In altri termini, di riappropriarci di un bisogno di morale e di buone cose che sembrava essersi persa. Forse, di sentirci meno soli.

Così, ci mettiamo insieme. Lavoriamo insieme. Produciamo insieme cose bellissime.

Come terzo settore, ne siamo un esempio: cresciamo del 28% in 10 anni (dati Istat); ci irritiamo, infastidiamo e reagiamo quando il linguaggio (della politica e non solo) va oltre il limite e offende l’amor proprio e le nostre cause (un esempio qui); rispondiamo in modo pronto agli appelli  (della politica e non solo) quando sono concreti: sono oltre 700 le proposte giunte al tavolo del Ministero del Lavoro in risposta al Governo per le consultazioni sul terzo settore in un solo mese.

Anche così rispondiamo e tacciamo, forse, la comune voce insistente che vuole il terzo settore solo e isolato. Abbiamo di che gioire, dunque!

Forse, così facendo ci sentiamo meno soli ma presto o tardi dobbiamo fare i conti l’altra faccia della medaglia: con tutto questo condividere, connettersi, contaminarsi, corresponsabilizzarsi, non rischiamo di scadere nel paradosso dell’omologazione? O forse è proprio nella condivisione e nel riconoscimento da parte degli altri che scopriamo la nostra identità e ci distinuaguiamo in dignità, valori, aspettative?

Generazione dopo generazione, come scrivevo più sopra, tutti noi siamo il prodotto dell’eredità lasciata due generazioni fa e, al tempo stesso, siamo i responsabili attuali e inconsapevoli di quello che di buono e cattivo avverrà fra un ventennio.

Forse dovremmo provare a riagganciare concretamente il concetto di “Condivisione” a quello di “Valore” – termine  che pensiamo intrinseco e a volte diamo così tanto per scontato fino al punto di perderlo di vista – e che va preso nel suo signficato più profondo, quello legato al desiderabile nell’espressione nobile del termine e universalmente intesa. Come Treccani insegna. Un lavoro enorme che prevede un totale investimento e un’analisi profonda. A partire, per l’appunto, da quella identitaria.

 

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