Welfare
Tra Cure e terapie va salvata lumanità
La grave malattia di Ariel Sharon...
La grave malattia di Ariel Sharon, operato più volte d?urgenza per varie emorragie cerebrali, fa nascere il sospetto che nei confronti del primo ministro israeliano si stia attuando un chiaro accanimento terapeutico. Cosa ne pensa?
M.Z.
Non potendo consultare la cartella clinica di Sharon, è difficile rispondere al suo interrogativo, che permette però di chiarire una tematica presentata con confusione, soprattutto verso i due termini: accanimento terapeutico e trattamento assistenziale ordinario.
Partiamo dal primo. L?eccesso di tecnicismo in campo medico, l?approccio specialistico della cura, il rifiuto della morte anche per motivi politici e sociali, inducono a volte i sanitari a praticare interventi sproporzionati. L?accanimento terapeutico è il tentativo di bloccare artificialmente un esito di morte naturale, prolungando il processo biologico e l?agonia, non permettendo alla persona di terminare l?esistenza dignitosamente. Perciò sono accanimento tutte le azioni inutili sotto il profilo terapeutico o sproporzionate all?obiettivo, per esempio la rianimazione di pazienti agonizzanti o anche solo una trasfusione quando prolunga la vita di poche ore, perché posticipano una morte certa, provocando ulteriori sofferenze e umiliazioni. Consci del diritto a morire con dignità, senza che macchine o farmaci prolunghino una parvenza di vita che, in realtà, non c?è più, l?accanimento terapeutico è rifiutato dall?art. 14 del Codice di deontologia medica; dall?art. 9 della Convenzione europea di Oviedo; dalla dottrina cattolica nell?enciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II che al n. 65 afferma: «Si dà certamente l?obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento». Lo stesso Papa ha concretizzato negli ultimi giorni di vita il principio affermato. Di fronte all?insistenza dei medici per un ulteriore ricovero al Policlinico Gemelli che, forse, gli avrebbe prolungato l?esistenza di poco ma con sofferenze atroci e in un ambiente asettico com?è quello della terapia intensiva, Papa Wojtyla ha preferito morire in Vaticano.
L?accanimento terapeutico che va sempre evitato, è diverso dal trattamento assistenziale ordinario, che deve essere fornito ad ogni ammalato, fino all?ultimo respiro, per salvaguardare la sua dignità. Nel trattamento ordinario rientrano la nutrizione artificiale, l?idratazione e l?igiene. Se queste fossero sospese, il paziente morirebbe, non a causa della malattia, ma per la sottrazione dei mezzi di ordinaria sussistenza. Il dare da mangiare e da bere non è un atto medico, ma un?opera di misericordia.
Un chiaro esempio di confusione lo abbiamo notato negli scorsi mesi seguendo la vicenda di Terry Schiavo, la giovane donna americana in stato vegetativo da quindici anni, che morì dopo quattordici giorni d?agonia, privata del cibo e dell?acqua. Nessuna macchina la teneva in vita, quindi non si stava attuando nei suoi confronti nessun accanimento terapeutico; non si è trattato di staccare una spina. Le sue funzioni vitali erano autonome e la cannula le permetteva unicamente di mangiare e di bere.
Il punto
Cosa dice la deontologia
Trattando di questa materia non si può non ricordare quanto si legge nell?articolo 37 del Codice di deontologia medica: «In caso di malattie a prognosi sicuramente infauste o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all?assistenza morale o alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato trattamenti appropriati a tutelare, per quanto possibile la qualità di vita».
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