Giustizia

Tossicodipendenti: carceri sovraffollate e comunità mezze vuote

Solo il 7% dei detenuti con problematiche legate all’uso di sostanze ha accesso ad un percorso alternativo alla detenzione, in comunità. Caterina Pozzi, presidente Cnca: «La nostra rete accoglie 400 persone. È pronta ad accogliere, da subito, altri 220 detenuti. Non è più tollerabile che tensioni e problemi sociali vengano affrontati creando nuovi reati, aumentando le pene e limitando il ricorso alle misure alternative»

di Ilaria Dioguardi

Nelle comunità terapeutiche residenziali che afferiscono alla rete Cnca, Coordinamento nazionale comunità accoglienti «ci sono 400 persone con problemi di dipendenza patologica in misura alternativa alla detenzione, ma quasi altrettanti posti sono disponibili nelle comunità della rete sparse per l’Italia. Da subito potrebbero accedere alla misura, e quindi uscire dal carcere, 220 detenuti in 12 diverse regioni», ha detto Caterina Pozzi, presidente Cnca, durante la conferenza stampa “Vuoti a prendere. L’affidamento in prova in comunità per i detenuti tossicodipendenti, una pratica in calo mentre il sovraffollamento carcerario aumenta”.

«Si tratta di comunità terapeutiche accreditate che offrono servizi riconosciuti ed approvati dalle rispettive normative regionali, che operano in sinergia con i SerD territoriali e che possono da subito offrire soluzioni di accoglienza alleggerendo il carico negli istituti penali».

Formazione e reinserimento sociale e lavorativo

Le realtà del Cnca, «come altri, lavorano nei diversi territori da decenni in stretta collaborazione con i servizi pubblici locali per le dipendenze, i servizi sociali dei comuni e gli enti di formazione per garantire percorsi territoriali di reinserimento sociale e lavorativo alle persone con problemi di dipendenza anche provenienti dalla detenzione», ha continuato Pozzi. «Malgrado questa ampia rete di collaborazione fra pubblico e privato, sono pochissime le persone che accedono alle misure alternative con affidamento ai servizi territoriali pur previsti dalla legge, ovvero facendo ritorno alla propria abitazione o accedendo a strutture di accoglienza domiciliare, con un progetto socio sanitario curato dagli enti territoriali».

Ridurre ingressi e tempi negli istituti di pena

Il Cnca è la più vasta rete nazionale che si occupa da oltre 40 anni di persone con problemi legati al consumo di sostanze e spesso con procedimenti penali alle spalle. «Il tema del sovraffollamento degli istituti penali e delle condizioni di vita disumane delle persone recluse è sotto gli occhi di tutti. Per prima cosa vogliamo ribadire con forza che la strada maestra per affrontare il problema del sovraffollamento in carcere è principalmente quella di ridurre gli ingressi nelle strutture detentive e limitarne i tempi. Un risultato che si raggiunge con una decisa azione di depenalizzazione e di ricorso esteso alle misure alternative alla detenzione», ha proseguito Pozzi.

«Non è più tollerabile che tensioni e problemi sociali vengano affrontati creando nuovi reati, aumentando le pene e limitando il ricorso alle misure alternative. Pozzi ha concluso dicendo che, alla fine dell’anno, uscirà un capitolato con le caratteristiche che dovranno avere le strutture per far parte dell’albo delle comunità, di cui parla il decreto carceri.

Sovraffollamento al 120%, 81 suicidi tra i detenuti e 7 tra gli agenti

«È allarmante la situazione in cui versa il carcere italiano, che conta 61.480 ospiti (al 30 giugno di quest’anno), con una capienza regolamentare di 51.234 persone. Il tasso di sovraffollamento, in media, è del 120%, con 81 suicidi tra la popolazione ristretta e sette di agenti di Polizia penitenziaria da inizio 2024», ha detto Sonia Caronni, referente area penale adulti del Cnca, alla conferenza stampa, che ha visto la presenza anche degli onorevoli Debora Serracchiani, Riccardo Magi e Devis Dori.

«Riteniamo urgente portare l’attenzione su quelli che potrebbero essere i dispositivi che possano migliorare le condizioni detentive e il benessere penitenziario. Negli istituti di pena italiani ci sono 17.405 detenuti tossicodipendenti, pari al 29% della popolazione ristretta nazionale, ma solo il 7% degli assistiti per problemi di uso di sostanze ha accesso ad un percorso alternativo alla detenzione nelle comunità terapeutiche, come riportato nella “Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024”, ha continuato Caronni.

Housing diffuso

«Sono da rafforzarsi immediatamente le condizioni per la concessione dell’affidamento in prova per casi particolari aumentando il numero degli inserimenti in comunità e gli affidamenti territoriali. Per quanto riguarda i detenuti comuni che hanno diritto ad accedere alle misure alternative, come Cnca mettiamo in evidenza l’esperienza positiva di accoglienza in housing diffuso, modulato su ospitalità per gravi fragilità, per medie fragilità e per percorsi di autonomia che abbiamo sperimentato durante l’emergenza pandemica Covid-19. Tale dispositivo di accoglienza permette alle persone di sperimentare percorsi educativo-trattamentali ponendosi al centro delle comunità e della rete di servizi in cui l’housing è collocato».

Carceri «ingovernabili e forse ingovernate»

Le carceri in Italia sono «ingovernabili e forse anche ingovernate», ha detto Stefano Anastasia, garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio. «Per quanto riguarda le comunità, nel decreto carceri approvato la scorsa estate si parla di un’istituzione dell’albo delle comunità terapeutiche insignificante. I giudici decidono le misure alternative alla detenzione sulla base delle leggi, a prescindere che queste strutture siano o no presenti nell’albo ministeriale. L’accreditamento deve essere presente nell’albo dei servizi sociosanitari, non nell’albo del decreto del Ministero della Giustizia», ha continuato. «Il problema della riduzione delle persone in carcere è un problema del governo».

Serve il potenziamento del personale sanitario ed educativo

«Occorrerebbe da subito attivare alcune facili azioni e disponibilità di collaborazione che abbiamo portato ai confronti avuti con i vari ministeri, ma di cui non vediamo azione concreta», ha affermato Riccardo De Facci, referente rapporti istituzioni sulle dipendenze Cnca. «È necessario un potenziamento ed una messa a regime del personale sanitario ed educativo interno alle carceri, in modo da permettere una celere, corretta, continuativa ed efficacia presa in carico delle persone ristrette con problematiche di abuso e dipendenza. Per evitare complesse e problematiche crisi di astinenza o disagio psichico con action out pesantissimi serve costruire stabili reti di collaborazioni con il sistema dei servizi e delle realtà del Terzo settore territoriali (comunità terapeutiche, centri diurni, forme di misure alternative e forme diverse di messa alla prova)».

Le carceri parlano da sole

De Facci ha proseguito dicendo che «bisogna aprire un serio confronto stabile con la Magistratura di sorveglianza per utilizzare con una corretta valutazione le varie forme di presa in carico di tale target, sia comunitarie che territoriali. E ancora, occorre costruire spazi intermedi all’interno delle carceri (individuali, centri diurni e spazi specifici) per questa popolazione vulnerabile, gestiti con operatori pubblici e del Terzo settore per l’accompagnamento verso misure alternative alla carcerazione soprattutto per pene lievi, persone in attesa di giudizio e persone con problemi sociosanitari significativi. Malgrado le grandi disponibilità dimostrate dalle strutture territoriali pubbliche e del privato sociale», ha concluso, «poche ci sembrano le azioni concrete intraprese. Occorre pensare al carcere non più come luogo chiuso, è parte della società. Se vediamo quello che succede nelle carceri (solo per citare gli ultimi accadimenti, ad esempio, negli istituti di Trapani e al Beccaria) ci rendiamo conto che le carceri parlano da sole. Il non ascolto del governo ci sembra una cosa gravissima».

In apertura unimmagine di una comunità terapeutica (foto di Cnca) e, nell’articolo, la conferenza stampa (foto e video di Ilaria Dioguardi).

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