Ambiente e salute

Toscana, se i Pfas arrivano dai depuratori industriali

C'è troppo silenzio sull'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche nella regione. Lo afferma Greenpeace Italia, dopo aver pubblicato i dati che confermano una contaminazione nota ormai da dieci anni. «Ora ci aspettiamo risposte concrete dalla Regione e l'analisi delle acque potabili», dice Giuseppe Ungherese, dell'associazione ambientalista. Comitati e gruppi di cittadini si uniscono alla richiesta e chiedono la messa al bando

di Elisa Cozzarini

«In Toscana ci sono casi di contaminazione da Pfas documentati da almeno dieci anni. Ma la Regione non ha mai affrontato seriamente il problema: manca un provvedimento sugli scarichi industriali, come quelli che hanno adottato Piemonte e Veneto, in attesa di una normativa nazionale», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. I livelli di inquinamento consentiti in Piemonte e Veneto, per l’associazione, sono discutibili ma almeno le norme regionali rappresentano un chiaro segnale di indirizzo politico.

Già nello studio pubblicato nel 2013 dal Consiglio nazionale delle ricerche – Cnr, che ha fatto emergere l’inquinamento della falda tra le province di Vicenza, Padova e Verona, erano stati individuati anche in Toscana livelli elevati di composti poli e perfluoroalchilici pericolosi per la salute umana, legati alla presenza dell’industria conciaria tra Pisa e Firenze e del tessile a Prato. In seguito, negli anni, i dati sono stati confermati dai rilievi periodici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. Nel 2022 i Pfas erano presenti nel 76% delle acque superficiali, nel 36% di quelle sotterranee e nel 56% dei campioni di organismi animali e vegetali.

L’indagine di Greenpeace

A gennaio 2024 anche Greenpeace Italia ha realizzato analisi indipendenti, non solo verificando la contaminazione già nota, ma rilevando un’ulteriore fonte nel distretto cartario lucchese e in misura minore del florovivaismo nel Pistoiese. In quest’ultimo caso, i Pfas sono legati all’uso di fitofarmaci (qui il report con tutti i dati). «La scoperta del legame con l’industria della carta non dovrebbe sorprendere, visto che l’impiego di queste molecole nel settore è ben noto, ma la questione non era mai stata approfondita dagli enti preposti toscani», commenta Ungherese, che aggiunge: «La Regione deve individuare tutte le fonti inquinanti di Pfas e attivare le Aziende sanitarie locali per avviare al più presto indagini sulle acque potabili, soprattutto nelle aree in cui si registrano elevati livelli di contaminazione».

Gli attivisti di Greenpeace hanno effettuato i campionamenti nei fiumi, a monte e a valle degli impianti di depurazione industriale, rilevando concentrazioni sempre superiori dopo gli scarichi. Nel caso del fiume Ombrone, nel distretto del tessile, ad esempio, a valle il valore è risultato più alto di venti volte. I campioni sono stati analizzati secondo due metodologie diverse: l’una con i “target”, che consentono di individuare 57 diverse molecole di Pfas, l’altra con una tecnica analitica che misura il fluoro organico (metodo dell’Adsorbable organic fluoride) e restituisce una stima di tutte le oltre 10.000 molecole non misurabili singolarmente.

Nel settore della carta, soprattutto per gli imballaggi degli alimenti, in quello tessile e conciario, sottolinea Greenpeace, esistono già diverse alternative all’uso dei Pfas. Oltre alla Danimarca, anche la Francia li ha vietati di recente, con qualche clamorosa eccezione.

Proprio in Toscana, inoltre, decine di piccole e medie imprese hanno aderito al Consorzio Italiano Detox, con sede a Prato, che dal 2015 ha fatto propri i principi della campagna Detox di Greenpeace, adottando sistemi virtuosi di gestione e monitoraggio e attraverso la sostituzione con alternative più sicure.

Basta Pfas: la richiesta anche dalla Toscana

«Dopo il Veneto, la Lombardia e il Piemonte, anche in Toscana sono emerse numerose criticità che confermano come l’inquinamento da Pfas sia un’emergenza nazionale fuori controllo. Per quanto tempo ancora il nostro governo continuerà a ignorare il problema condannando interi territori a subire gli effetti dell’inquinamento? Serve subito una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di queste pericolose molecole, non c’è più tempo da perdere», conclude Ungherese.

Accanto a Greenpeace, sempre più comitati e gruppi di cittadini chiedono alle istituzioni maggiore chiarezza e risposte concrete. Clara Gonnelli, presidente dell’Associazione per i diritti dei cittadini – Adic Toscana, spiega che il tema Pfas è emerso anche a proposito dell’impatto dei biodigestori. «Un aspetto problematico è quello legato alla presenza di eventuali sostanze chimiche nella matrice delle biomasse conferite a questi impianti. Ad esempio, quelle provenienti da una non buona raccolta differenziata possono contenere anche Pfas, vista il loro amplissimo utilizzo. Non esistono limiti per le emissioni in aria di queste molecole e non sappiamo nemmeno esattamente quali sono le reazioni che avvengono dopo la loro combustione. La nostra rete, che comprende molti comitati e associazioni, chiede il rispetto dei diritti costituzionali e la conseguente messa al bando di sostanze chimiche pericolose come sono i Pfas».

Adic Toscana si è unita all’iniziativa delle Mamme No Pfas del Veneto e sta inviando ai Comuni della regione la richiesta di aderire a una mozione con cui si impegnano a domandare al Parlamento italiano la messa al bando delle sostanze perfluoroalchiliche, al più presto.

La foto in apertura è di Greenpeace Italia

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