Non profit

Tornare amici nei Balcani

Si chiama Mreza, cioè Rete, il giornale realizzato dai ragazzi di Sarajevo. Il giornalismo è una delle attività che si svolgono nei centri di aggregazione che i volontari di Aibi hanno realizzato.

di Antonietta Nembri

“Non ti dicono mai: “non voglio venire perché c’è un serbo”, oppure “ci sono i musulmani”. Accampano tante scuse sulla macchina che non parte o sulla troppa neve». Così semplicemente Vittorio Villa, coordinatore del Progetto Ai.Bi. “L’Europa dei Balcani” per il sostegno a distanza di una rete di Centri di aggregazione giovanile, racconta la difficoltà a incontrarsi tra diverse etnie ancora presente tra i giovani che da un paio di anni frequentano gli otto centri aperti nella Repubblica serba e nella Federazione croato-musulmana della Bosnia Erzegovina. Il percorso verso la multietnicità nell’esperienza concreta dei centri è possibile, ma non facilissimo. I primi centri sono nati nel 1996 proprio per creare tra loro una rete; e degli undici sorti, tre si sono già staccati creando un loro network autonomo. «È proprio nello spirito del progetto», conferma Vittorio Villa, «quello di condurre i diversi centri a unirsi tra di loro creando dei network. Un primo passo tra gli otto che dipendono direttamente da noi è stata la realizzazione del giornalino “Mreza 2000”». A Sarajevo, Pale, Zepce, Brcko, Banja Luka, Velika Kladusa, Bihac e Rudo i giovani serbi, croati e musulmani si ritrovano tra di loro, hanno uno spazio, un luogo nel quale tornare a sperimentare la voglia di essere ragazzi. «Uno degli effetti positivi», conferma Vittorio Villa, «è proprio quello di lavorare insieme, tra di loro: scrivono gli articoli, fanno le fotografie, curano anche la distribuzione nelle scuole e nelle loro comunità. L’unica operazione che facciamo noi di Aibi è quella di portare il materiale in tipografia». “Mreza 2000” è un giornale, ma è anche un ambasciatore: tutti contribuiscono a realizzarlo, è scritto in bosniaco con alcuni articoli stampati in alfabeto latino e altri in cirillico. «Questa modalità di procedere è aggregante», spiega Vittorio Villa, «perché tutti qui in Bosnia conoscono entrambi gli alfabeti, la divisione linguistica è solo politica, ma in realtà all’interno del network scrivere un giornale insieme aiuta a uscire dagli schematismi, anche perché nella società uscita dalla guerra non si fa nulla per unire: anche gli aiuti internazionali segnano un confine tra la federazione croato-musulmana dove il sostegno internazionale è arrivato in modo massiccio e la zona serba dove invece si vede molto meno la presenza degli aiuti. Nel mio lavoro di coordinamento viaggio molto e questa diversità si vede a occhio nudo». Una delegazione di giovani giornalisti di “Mreza 2000” lo scorso anno è venuta in visita alla redazione di Vita: blocchetto in mano, in inglese o con l’aiuto di un interprete, i ragazzi hanno sommerso i giornalisti e i grafici di domande e interrogativi. Giornalisti in erba, ma con tanta voglia di fare e di imparare, tutti insieme: serbi, croati e musulmani. Ed è imparare a crescere insieme lo spirito che guida l’idea della costruzione di un network tra gli otto centri, quattro serbi, due musulmani e due croati che, a parte quello cittadino di Sarajevo, sono tutti ubicati in piccole realtà. «Quando vedo che tra i ragazzi iscritti al centro di Brcko ci sono anche tre ragazzi musulmani tra la maggioranza serba, mentre a Zepce ci sono i croati in una zona a predominanza musulmana, ecco, capisco che un passo in avanti verso il superamento della diffidenza è stato fatto. Ma il nostro progetto chiede ancora di più» spiega Vittorio Villa. «Il coinvolgimento, attraverso gli incontri periodici, di tutti i centri ogni tre quattro settimane. Non mi scandalizzo delle difficoltà che si hanno nel rapportarsi tra diverse etnie, in fondo i giovani rispecchiano la società in cui vivono». Ma una volta che si ritrovano insieme scherzano liberamente tra di loro, organizzano concerti e vacanze, riescono a convivere in campi estivi o in meeting. Lo stare insieme però non è sempre spontaneo, soprattutto perché i ragazzi sentono di dover giustificare davanti alle comunità di appartenenza le frequentazioni con i coetanei di un’altra etnia. Fino al punto che per un giovane di Pale, l’agire all’interno del progetto di AiBi diventa una giustificazione davanti ai vicini di casa per recarsi nella zona musulmana. Vittorio Villa, che non ama la teoria dell’incontro multietnico, ma vive ogni giorno lo scontro con piccoli e grandi pregiudizi, non può non constatare che «il cammino verso la pacificazione e una società multietnica è ancora molto lungo, se in un libro di scuola trovi una foto di un bambino ferito e nella didascalia c’è scritto “piccolo ferito dai serbi”». I Centri di aggregazione sono luoghi in cui si fa musica, corsi di computer e di inglese, ma i più coraggiosi si mettono anche studiare italiano. Luoghi in cui la vita riprende a pulsare. Ogni struttura può scegliere delle attività: dallo sport all’animazione teatrale al giornalismo. «La cosa bella è che in alcune realtà i ragazzi hanno iniziato ad allargare la loro sfera d’azione realizzando corsi di cucito per le donne o di inglese per gli adulti», dice Vittorio Villa. «I giovani così diventano l’inizio di qualcosa di nuovo. Noi puntiamo molto su questa ricostruzione del tessuto sociale», spiega, «e lo facciamo anche attraverso dei partner locali così che i centri non restino delle isole ludico-ricreative per i giovani, ma diventino motori per una crescita attraverso attività socialmente utili». In Bosnia il rischio di costruire solo una facciata è reale, soprattutto se non si riconosce che servono le persone per rendere vive le città. I giovani che si incontrano nei Centri sono appunto la speranza del futuro. Progetti: Unire i giovani per salvare la pace “L’Europa dei Balcani” è il nome del progetto di sostegno a distanza di una rete di Centri di Aggregazione giovanile creata da Aibi – Associazione amici dei Bambini, prima in Bosnia Erzegovina con 8 centri e ora anche in Albania, a Tirana, e in Kosovo con tre centri di animazione e a aggregazione a Pristina, Kosovsca Mitroviza e Pec. Lo scopo è quello di garantire la possibilità di aggregazione ai giovani appartenenti a diverse etnie e quella di costituire una rete di collegamento nella quale possano confluire le diverse attività dei ragazzi per agevolare la conoscenza e la condivisione. E per ribadire l’importanza del coinvolgimento dell’intero continente nella costruzione di una realtà nuova nell’area, Aibi si è fatta promotrice di un incontro particolare. “Pace nei Balcani, questione europea” è appunto il titolo dell’appuntamento che ha visto protagonisti 500 giovani provenienti da Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia e Kosovo che si sono incontrati a Milano nel primo meeting giovanile interetnico sul ruolo dell’aggregazione tra giovani nella ricostruzione . «Il futuro dei Balcani è nella mani dei giovani», ha detto Anna Oxa testimonial del meeting multietnico “Nessun serio tentativo di riconciliazione nazionale potrà prescindere da loro”.


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