Economia
Tornare a investire. Il buon proposito degli imprenditori sociali
È il tema del XIII Workshop di Iris network che si è aperto oggi a Riva del Garda. La posta in gioco non è solo la crescita del numero di imprese. Ma essere sempre più “intelligenti”, cioè mirati rispetto a obiettivi sempre più d’impatto
I dati parlano chiaro: in termini di investimenti economici l’impresa sociale italiana (la cooperazione sociale) non teme rivali. “Vince facile” verrebbe da dire, considerando che il resto dell’economia stagna, anche e soprattutto nella capacità di impiegare risorse per crescere e innovare. L’imprenditoria non profit invece viaggia in terreno ampiamente positivo. Lo si riscontra sia nei dati “oggettivi” delle performance, sia nel sentiment degli imprenditori. I dati del rapporto Euricse rilevano una crescita negli anni della crisi del fatturato (+31% dal 2008 al 2013 superando quota 10 miliardi), degli investimenti (+44% pari a 7,7 miliardi) e dell’occupazione (con i relativi costi: + 37%). Il panel dell’associazione Isnet informa invece che la quota di imprenditori sociali che intravede un 2015 critico è pari al 25% contro il 32% del 2014.
Tutto bene quindi? Sì e anche no. Gli aspetti critici sono legati soprattutto al contesto in cui si colloca questa dinamica positiva. Un vettore, l’investimento, in uno spazio dove i fondamentali delle economie delle imprese sociali sono in profonda ristrutturazione. Le indicazioni vengono, ancora una volta, dai dati.
Quelli quantitativi informano di una decrescita degli utili (-84% dal 2008 al 2013), essicando la principale fonte di risorse per ripagare il costo degli investimenti. Forse è anche questa una delle ragioni per cui, dopo anni di aumento costante, diminuisce, secondo un’altra fonte cioè Federsolidarietà/Confcooperative, il ricorso al credito bancario (-5% tra 2012 e 2013), mentre non decollano i prestiti da altri soggetti (soci compresi). Il tutto in una fase in cui, dopo anni di pesanti ritardi, la Pubblica amministrazione ha iniziato a rientrare dai debiti contratti presso le imprese sociali, liberando quindi risorse da impiegare per investire e non solo per sopravvivere.
Non sorprende così che sul versante qualitativo il tradizionale ottimismo connaturato all’imprenditoria sociale non si spinga oltre la previsione di stabilità (l’andamento del fatturato 2015 è statico per il 50% contro il 43% dell’anno precedente), così come è sostanzialmente ferma la quota di imprese sociali propense a investire (37% del totale del panel Isnet). Per questo è necessario tornare a investire. La posta in gioco non è solo la crescita del numero di imprese. Se nei decenni scorsi l’intento era di riallocare la spesa pubblica redistribuita per il welfare, ora si tratta di operare in una logica di investimento in senso stretto, dove cioè l’obiettivo è la generazione e la remunerazione del valore (ancora una volta in un mix di sociale ed economico) a favore di diversi soggetti che riconoscono nell’impresa sociale un veicolo per creare nuove condizioni di sviluppo e non semplicemente per correggere i fallimenti dello Stato e del mercato.
È un cambio paradigmatico che passa da una nuova forma mentis, oltre che da nuove architetture organizzative e societarie, e che, inevitabilmente, si realizza grazie a legami orientati al cambiamento tra attori che cooperano per nuove forme di produzione del valore.
Questi sono – o dovrebbero essere – gli “ecosistemi” di innovazione rispetto ai quali l’impresa sociale può giocare un ruolo importante. Forte del suo know how e di una rinnovata volontà di apertura
alla cross-fertilization sempre più intenzionalmente ricercata. Forte di risorse proprie da rimettere in circolo, come il miliardo di euro di immobilizzazioni materiali che corrispondono non solo a tecnologie e strumentazioni, ma anche a beni immobili di “pubblica utilità”. Forte, infine, di condizioni di contesto non tutte negative. La riforma normativa e – ancor di più – la disponibilità di risorse – come quelle messe a disposizione dal Cipe – che si caratterizzano per la loro consistenza e per il fatto di essere sempre più “intelligenti” cioè mirate rispetto a obiettivi sempre più definiti e rendicontabili. Così ha
senso parlare di impatto e di investimento sociale. Così ha senso “tornare a investire”.
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