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Tornano le stragi nel Mediterraneo. Colpa del ritorno dei pescherecci

La crescita esponenziale dei disastri che ha portato a 3mila morti in sei mesi, è dovuta al ritorno dell’utilizzo dei barconi da parte degli scafisti. «Quest’anno abbiamo notato un ritorno nell’uso delle carrette del mare, preferite ai gommoni perché più capienti», spiegano dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni

di Lorenzo Maria Alvaro

Quasi tremila morti in soli sei mesi, mille in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A lanciare l’allarme sulla strage silenziosa, che si consuma con numeri sempre più alti, nel Mar Mediterraneo, è stato nei giorni scorsi l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Oim). Ma a che cosa è dovuto questo aumento esponenziale? Quali sono le cause di questa che continua ad essere una lista di morti senza fine?

Una delle spiegazioni, secondo l’Oim, è legata alla tipologia delle imbarcazioni utilizzate. I trafficanti stanno infatti ricominciando ad usare i vecchi pescherecci. Caricati all’inverosimile questi vecchi barconi, vengono trasformati in carrette del mare per far partire il più alto numero di persone, non importa in quali condizioni di navigazione e sicurezza.

«Quest’anno abbiamo notato un ritorno nell’uso dei barconi provenienti dalla Libia, oltre ai gommoni che nell’ultimo periodo venivano maggiormente utilizzati», spiega Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim. «Questa costituisce una delle principali cause dell’aumento delle morti: su questi vecchi pescherecci, infatti, possono stare anche 600-700 persone, quindi in caso di naufragio si contano molte più vittime». Inoltre, in molti casi si tratta di imbarcazioni particolarmente fatiscenti: «in un caso recente di naufragio abbiamo visto che un peschereccio era stato fatto partire da un altro, senza motore – aggiunge –È la prima volta che ci capita di vedere una cosa del genere».


Fino a qualche mese fa i barconi in legno non venivano più utilizzati: «Ci siamo chiesti come mai – spiega -, probabilmente non c’era disponibilità di averne. Ora, non sappiamo come, alcuni gruppi di trafficanti sono riusciti a fare rifornimento di vecchie barche, ma questo ci preoccupa, per l’alto numero di persone che solitamente riescono ad imbarcare. E che quindi rischiano la vita».

Di certo, non meno pericolosi sono i gommoni. Anch’essi spesso totalmente fatiscenti. «In molti casi vengono gonfiati direttamente sulla spiaggia: questo dà molta flessibilità ai trafficanti che possono cambiare punto di partenza all’ultimo minuto e così evitare i chek point o i punti in cui ci possono essere scontri con bande criminali – afferma Di Giacomo -. Ma si tratta di gommoni in pessime condizioni, in cui il rischio per la vita delle persone non è minore».

L’altro punto fermo è che la rotta del Mediterraneo centrale rimane la più rischiosa: lo era lo scorso anno con circa 2900 vittime, sulle 3.800 totali, lo conferma quest’anno con 2900 morti in soli sei mesi. Ad alimentare il rischio c’è l’incremento delle partenze dall’Egitto: una rotta più lunga e dunque ancora più temibile. «Ogni anno registriamo un 10-15 per cento di sbarchi dall’Egitto ma quest’anno le partenze sono aumentate. Il flusso è cominciato prima – aggiunge il portavoce dell’Oim – ne abbiamo registrate già a febbraio ed è inusuale, perché di solito iniziano quando il clima è più tranquillo, in estate. In assoluto, l’ ultimo dato disponibile di aprile dice che sono arrivate nei primi 4 mesi 2000 persone rispetto alle 200 dell’anno precedente: un aumento considerevole. E legato sia alla domanda di persone che cercano di evitare la Libia perché è sempre più pericoloso, soprattutto per chi arriva dal Corno d’Africa. Ma anche perché sono aumentati gli egiziani che decidono di lasciare il paese». Sul totale degli arrivi essi rappresentano infatti l’undicesima nazionalità di appartenenza: a fine giugno erano circa 2600 contro i 344 dell’anno precedente.


Una delle tante carrette del mare che affonda. Questa volta però tutti sono stati portati in salvo

Rispetto alle nazionalità, secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero dell’Interno il primo paese di origine è la Nigeria (16 per cento del totale pari a circa 12mila persone) seguito dall’Eritrea con 8.900. «Quello che stiamo notando è un aumento notevole di persone che arrivano dall’Africa sub sahariana e un calo di arrivi dal Corno d’Africa – spiega Di Giacomo – gli eritrei, in particolare, sono diminuiti: dai 19mila dell’anno scorso agli 8800 di quest’anno. Anche i somali sono molto meno, mentre sono quasi triplicate alcune nazionalità come Mali, Costa d’Avorio, Guinea. Questo si può spiegare col fatto che la situazione in Libia è sempre più pericolosa per i migranti e molti, avendo difficoltà a tornare nel paese d’origine, decidono di continuare il viaggio verso l’Europa – continua – lo fanno per salvarsi vita, anche se poi la mettono a rischio in mare».

In ogni caso la migrazione più massiccia continua ad essere sud-sud: resta cioè in Africa, in Libia o nei paesi confinanti. «Non c’è nessun allarme per l’Italia: non hanno fondamento le voci di centinaia di migliaia di persone pronte a partire – conclude- I numeri ci dicono che stiamo sugli stessi livelli dello scorso anno. Quella che stiamo vivendo non è un’emergenza numerica ma umanitaria: perché a fronte dello stesso numero di arrivi le morti aumentano in maniera esponenziale. E questo è il vero problema».

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