Cultura
Torino: allarme Acli, paura della povert
Colletti bianchi, la paura della povertà, passo breve tra benessere e emarginazione. Un libro e un convegno
di Paul Ricard
«Se a Torino sparisse la rete del “pronto intervento”, del volontariato, dei centri Caritas, scopriremmo di vivere in una città ben più povera di quella che conosciamo». Luigi Bobba, presidente nazionale Acli, lo dice alla presentazione del libro «Scoprirsi “senza”. Torino: sguardi sulla povertà in una provincia del benessere», Edizioni Gruppo Abele. Il volume contiene una ricerca promossa dalle Acli, che costituirà la base di riflessione del convegno previsto sabato mattina alla Biblioteca di piazza Falchera 9. Interviste a studiosi e operatori (da Lia Varesio a Marco Revelli, da don Piero Gallo a Luciano Gallino, a Younis Tawfik), ma anche ascolto e riflessioni in alcune realtà complesse del territorio. Dall´indagine emergono povertà tradizionali, «classificabili».
Soprattutto, però, si delinea una vastissima «zona grigia» cui il «Welfare municipale» – Bobba l´ha definito così – cerca di porre un argine. Una povertà che tocca sempre più spesso i “colletti bianchi”. Il rischio è lo slittamento nell´esclusione, in agguato per la perdita del lavoro, per una malattia, per il dover accudire un anziano. L´autore delle interviste, il giornalista Emanuele Rebuffini, ha proposto due esempi dolorosamente attuali. «Vito, operaio, single, 800 euro al mese e 500 di mutuo, una concreta prospettiva di cassa integrazione; Caterina, operaia sulla linea della Panda, il marito operaio sulla linea della Marea, una figlia che studia in un´altra regione e alla quale forse non riusciranno più a pagare l´affitto. La zona grigia è qui».
Ed è nelle parole del professor Revelli – riferite da Rebuffini – quando dice che il patrimonio, specie immobiliare, messo insieme dalle precedenti generazioni, salva oggi chi deve fare i conti con un lavoro di tipo precario. Ed è nel dato fornito dal centro di ascolto diocesano «Le due tuniche», dove tra le mille persone che hanno chiesto un aiuto nel 2001, solo il 10% era senza dimora. «Della “povertà relativa”, la conoscenza è assai sfuggevole perché nella più parte dei casi si tratta di singoli o di nuclei famigliari che oggi vivono in una situazioni economiche di sufficienza, ma che possono passare ad uno stato di insufficienza permanente a seguito di un solo episodio di emergenza», spiega il direttore della Caritas diocesana, Pier Luigi Dovis. «Si pensi ad esempio all´ultima alluvione: ci sono delle famiglie di Moncalieri che avevano contratto mutuo per acquistare la casa, stavano pagandolo, non avevano più riserve né liquide né patrimoniali e hanno avuto la casa semidistrutta. Ora sono nella necessità di continuare a pagare il mutuo e forti spese di ristrutturazione. Devono quindi cambiare il tenore di vita e giorno dopo giorno vedono abbassarsi le loro possibilità. Se nel nucleo ci sono ragazzi, la previsione è di quasi impossibilità di accedere ad un istruzione superiore».
Ancora Dovis: «In questa fascia di povertà rientrano i “colletti bianchi” che hanno avuto per lunghi anni la sicurezza del posto e che ora si trovano a fronteggiare la cassa integrazione». Un´altra testimonianza significativa è quella di suor Angela Pozzoli, responsabile dei Gruppi di Volontariato Vincenziano: «Sono 33 anni che mi occupo di poveri e posso dire che quello di oggi è uno dei momenti più difficili, sia per il numero, sia per il tipo di povertà molto più complesse. Il crollo dei valori fa sì che aumentino le dipendenze, non solo dalle droghe, ma dal sesso e dal denaro. Il lavoro è visto solo in funzione del denaro, per cui, a volte, anche la gente più povera rinuncia a un lavoro che può dare un guadagno minimo perché vuole un posto che renda di più. E se quest´ultimo non c´è, piuttosto resta disoccupata». Ma è la «zona grigia» a colpire di più: «Nel nostro centro di ascolto riscontriamo molti casi di famiglie che da uno stato di benessere cadono nella povertà a causa della perdita del lavoro. Sono i casi più delicati perché non vogliono chiedere aiuto, non vogliono ostentare il loro stato di bisogno, e quando li scopri sono ormai a un punto tale che diventa difficile dare loro una mano». Stefano Tassinari, presidente provinciale Acli: «Una certa povertà ci appare solo quando “non ce la si fa più”, quando esplode, diventa cronica, quando possiamo imprigionarla in qualche rassicurante categoria: tossicodipendenza, alcolismo, redditizero, disoccupazione». Lo sforzo della politica dovrebbe andare nella direzione della prevenzione. «Oggi non è così».
Del resto, nella città della Fiat, nel 1997 un’autovettura su tre veniva realizzata a Torino. Il comprensorio torinese produceva 568.000 auto impiegando 33 mila addetti. NEl gennaio 2002 solo un auto su cinque viene ancora prodotta a Torino, la produzione è scesa a 300 mila autovetture e il numero dei lavoratori è di 25.000. Nell’arco di cinque anni, cioé sono stati cancellati più di ottomila posti di lavoro (il 23,8%). Una vera e propria strategia dell’abbandono culminata nell’annuncio dello stato di crisi della Fiat.
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