Cultura

Tor Bella Monaca: demoliamo?

Viaggio nel cuore del quartiere. Che dice "No" all'idea del sindaco. Dal settimanale VITA in edicola

di Maurizio Regosa

A guardarla da lontano la faccenda di Tor Bella Monaca è poco comprensibile. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, propone di ricostruire gli edifici fatiscenti di questo quartiere periferico («ci piove dentro, spesso di tratta di prefabbricati e tra una lastra e l’altra ci sono crepe ed infiltrazioni») e i cittadini non sembrano contenti. Tor Bella Monaca è tra i pochi quartieri, forse l’unico, ad avere (e non da oggi) un club su Facebook.

A leggere i post dei fan, si capisce che per la maggioranza (e sono quasi 5mila) Tor Bella Monaca (Tbm per chi la conosce), è «la mejo de tutti»: «mitica» anzi «bellissima». Anche chi si è trasferito altrove non la dimentica: «Sto a San Giovanni ora ma er core mio appartiene a te, Tbm».

È vero, qualche ragionamento controcorrente c’è. Ma è minoritario. Quel che prevale è un sentimento di appartenenza che forse è stato ferito da Alemanno. «Lavorando nella ludoteca del quartiere», spiega Giulia Diamanti della cooperativa Patatrac, «ho notato che per questi preadolescenti il conflitto è aggregante: all’inizio si coalizzavano contro gli operatori».

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E INOLTRE…

Tor Bella Monaca: parole al vento in una tipica estate caldaall’Italiana.
Ray Lorenzo, Urbanista. Presidente e Responsabile Scientifico della Cooperativa ABCittà (Milano) 

Alemanno ha proposto di abbattere “il mostro” TBM per costruirne, in tutta probabilità, uno nuovo. I soliti esperti (inclusi alcuni che hanno già fatto altri “mostri”) si sono buttati a pesce a dire la loro; alcuni con metafore che io pensavo fossero oramai fuori uso nel lessico urbanistico. Parlo Portoghesi assicura che  «… è un’iniziativa giusta (ndr. per chi?) … cominciare a sostituire le parti malate della città»;  Federico Mollicone (Presidente, Commissione Cultura, Roma) ha aggiunto «non si può cercare la bellezza in periferia, perché … è un non luogo … prevale solo il brutto».  Non solo Achille Bonito Oliva dissente con quest’ultima affermazione (dice che si dovrebbe “creare una educazione (io direi, “un processo partecipato”) che formi nella gente la coscienza che esiste un bello che qualifica il quotidiano”) ma anche gli oltre 4800 persone che hanno aderito al  “Torbella Pride” su Facebook. Shakespeare (credo) ha scritto: “Beauty is in the eyes of the beholder”. Comunque sia , sono parole sante.

Non mancano i “furbi”, i quali per sdoganare  l’idea malsana fanno riferimento alle esperienze Europee nella “demolizione di quartieri degradati”, tra questi Cesare Valle Jr. (“all’estero – come a Parigi e Berlino – già si opera così”). Ma, il breve accenno e il “così” tralascia qualsiasi approfondimento sul “come” si fa all’estero. Né offre luce sul quanto è diverso dall’Italia il modus operandi professionale, nell’Europa del Nord (e in molte altre nazioni), non solo nella complicata “demolizione, ricostruzione, recupero, ricucitura sociale ed ecologica, ecc” dei quartieri consolidati ma persino nel semplice atto di riparare un marciapiedi o riqualificare un piccolo lotto verde urbano. La prima differenza è che – prima di lanciare i progetti e gli slogan – cercano di capire al meglio “il problema”. E, di norma, questo lo fanno innanzitutto ascoltando il “territorio” nel suo insieme. Numerose voci del quartiere (come quelle raccolte da Vita) sembrano chiedere che si faccia proprio questo. Alcuni comitati del quartiere e molti abitanti concordano con la campionessa, originaria di Tor Bella Monaca, Alessia Filippi quando dice che si potrebbe intervenire ma “… avendo ben presente le esigenze di vita dei cittadini che ci abitano”. Però, questo semplice richiesta è, nel contesto Italiano, un compito molto difficile. Come sarebbero nel caso di un progetto “serio” di riqualificazione per il TBM (che potrebbe anche vedere alcune piccole demolizioni intelligenti):  la necessaria costituzione di workshop cittadini e di gruppi di lavoro e progettazione multi disciplinari, la collaborazione intersettoriale e inter-istituzionale, la contabilità trasparente ed equa, la garanzia di servizi di base essenziali accessibili in corso d’opera, ecc. Per non parlare del quotidiano coordinamento dei traslochi temporanei e dei cantieri. Impossibili o quasi. Ma, il Sindaco sa che una volta esisteva a TBM un Laboratorio Municipale di Quartiere funzionante? Sa che ci sono molti abitanti che considerano le condizioni di vita a TBM in molti aspetti migliorate, in gran parte grazie alla partecipazione degli stessi abitanti?

Che cosa posso offrire io – in quanto “esperto di progettazione partecipata” – al presente dibattito? Ben poco in termini di suggerimenti specifici contestualizzati, avendo visitato TBM solo una volta per accompagnare la mia suocera all’ASL. Comunque, non mi è sembrato peggio di gran parte dei quartieri “167” di altri metropoli Italiani e meglio di alcuni recenti quartieri dormitori “di lusso” della stessa Roma. Almeno si vedeva persone che si fermavano per “strada” per parlare. Di fatto, il bar in fondo alla “strada volante” che contiene l’ASL mi è sembrato un luogo ricco di relazioni umani (e con un ottimo caffè).

Leggere alcune delle pubblicazioni dell’architetto – matematico Inglese Christopher o dell’australiano Nikos Salingaros  che hanno trattato con intelligenza e dedizione la questione della pianificazione e progettazione complessa e urbana sociale, sostenibile e partecipata (bibliografia disponibile). Dare un’occhiata ai numerosi testi su temi pertinenti dell’antropologo-architetto, Italiano, Franco La Cecla.

Studiare bene le buone pratiche nell’ambito della riqualificazione urbana soprattutto all’estero, ma anche in Italia. Per cominciare, leggere e visitare le esperienze di. Lucien Kroll che ha coordinato numerose progetti volti a dare “nuova vita” a periferie “degradate” in Francia, Belgio, Germania, ecc. I suoi progetti includono, ma non privilegiano, alcune demolizioni mirate (quando per esempio un quartiere è, in parte, disabitato. Questo non è, credo, il caso a TBM). Per Kroll, il “disordine” della vita quotidiana e la diversità delle idee ed identità multiple presenti in un luogo sono gli ingredienti principali di un buon progetto sociale ed ecologica. Essenziale è sapere ascoltare e coinvolgere attivamente gli abitanti nel processo. Questo passaggio richiede expertise che, ritengo, è disponibile in Italia. Per esempio:

Nella stessa Roma, riesumare e studiare l’esperienza dei Laboratori Municipali di quartiere dell’USPEL del Comune di Roma e della Facoltà di Architettura di Roma III.

Assistere ad una lezione della Prof. Marinella Sclavi sull’ “arte del ascolto” o iscriversi ad un corso offerto dalla nostra Alta Scuola di Progettazione Partecipata.

Iscrivere la sua città – subito – allo statunitense  Mayor’s Institute for City Design. Questa istituzione, fondata dal sindaco Charles Reilly della città di Charlotte, dal 1986 ha assistito numerosi sindaci nel imparare come meglio pianificare, progettare e gestire le loro città e periferie in una maniera più sostenibile (sociale, ecologica e economica) e più giusta.

Dopo aver svolto con impegno questi compiti, credo che il Sindaco e il suo staff saranno più preparati a confrontare, con calma e serietà, la riqualificazione del quartiere Tor Bella Monaca e altri quartieri – e non solo lanciare slogan e provocazioni che accendono dibattiti estivi all’Italiana. I quali finiscono nel vento … o peggio, che diventino il fondamento per altri “mostri”.

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