Volontariato

Tor Bella Monaca casa nostra

di Maurizio Regosa

A guardarla da lontano la faccenda di Tor Bella Monaca è poco comprensibile. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, propone di ricostruire gli edifici fatiscenti di questo quartiere periferico («ci piove dentro, spesso di tratta di prefabbricati e tra una lastra e l’altra ci sono crepe ed infiltrazioni») e i cittadini non sembrano contenti. Tor Bella Monaca è tra i pochi quartieri, forse l’unico, ad avere (e non da oggi) un club su Facebook. A leggere i post dei fan, si capisce che per la maggioranza (e sono quasi 5mila) Tor Bella Monaca (Tbm per chi la conosce), è «la mejo de tutti»: «mitica» anzi «bellissima». Anche chi si è trasferito altrove non la dimentica: «Sto a San Giovanni ora ma er core mio appartiene a te, Tbm». È vero, qualche ragionamento controcorrente c’è. Ma è minoritario. Quel che prevale è un sentimento di appartenenza che forse è stato ferito da Alemanno. «Lavorando nella ludoteca del quartiere», spiega Giulia Diamanti della cooperativa Patatrac, «ho notato che per questi preadolescenti il conflitto è aggregante: all’inizio si coalizzavano contro gli operatori».


In realtà, con gli occhi di chi non ci abita, Tbm è tutt’altro che «mitica». Basta andare a vedere. Si prende via Casilina e si va ben oltre il Pratone evocato da Pier Paolo Pasolini in Petrolio. Centocelle, Torre Spaccata, Torre Maura, Giardinetti: andando si ha la visione diacronica di una periferia che continua a farsi in là… Dopo Torre Angela, appare Tbm, il lungo viale e i palazzi incriminati, le torri che Alemanno vuole abbattere («faremo un confronto diretto con i residenti… vogliamo attuare una urbanistica partecipata», ha assicurato). Gruppi di ragazzini presidiano l’ingresso delle torri in cui abitano. Roma sembra lontana. E invece no. Nel bene e nel male, siamo dentro la capitale. Qui c’è più spazio, più verde che in altre zone.
Difatti tra i 240mila residenti del Municipio delle Torri (che comprende Tbm) c’è tanta, tantissima normalità. Spesso giovani coppie (qui c’è il più alto tasso di natalità della capitale, l’11 per mille). Molti single. Tanti anziani. Una normalità non priva di problemi. Qui l’indice di indipendenza economica è il più basso della capitale. Nessun dubbio che Tbm abbia bisogno di una «ripartenza».


«Se la proposta di Alemanno va in questa direzione, va bene. Non è una panacea, ma è uno spunto concreto e non lo censurerei a priori», premette Francesco Sagone, presidente della cooperativa Santi Pietro e Paolo che lavora nel quartiere da più di dieci anni (gestisce un asilo, un centro di aggregazione e di ascolto). «È un Municipio molto eterogeneo. Assieme alle zone più degradate c’è Tor Vergata, dove ha sede l’università», continua, «non si può generalizzare. Un fatto è certo: nelle aree più difficili, le problematiche si intrecciano, complicando, e di molto, la possibile soluzione. Gli ex carcerati, gli indigenti, i tossicodipendenti, i migranti…». A completare il quadro, una intensa attività di prostituzione, spaccio, criminalità organizzata (e a Tbm non c’è un presidio della polizia né un Sert). «Si potrebbe però partire da iniziative più piccole ma comunque importanti». Un punto di vista che Vanessa Vinciotti, operatrice della stessa cooperativa e da sei anni residente a Tbm, condivide in parte: «Non è radendo al suolo che si risolvono i problemi. Certo qui non c’è una cultura della casa, a molti basta avere un tetto e non importa se sia o meno abusivo, però chi dovrebbe gestire la manutenzione spesso non interviene. E così ci sono palazzi fatiscenti, dove manca spesso la luce e gli ascensori son sempre guasti».


Naturalmente gli operatori sottolineano l’urgenza di investimenti sociali in particolare a favore dei giovani. Lo spiega bene Anna Vettigli della Patatrac: «In un quartiere così complesso una ludoteca come quella che abbiamo gestito noi, aiuta ma non basta. Le esigenze sono moltissime». Confermate dalla Asl che un paio di anni fa ha reso note rilevazioni inquietanti: a Tbm il 70% dei giovani utenti (1.145 persone) «presenta problematiche sociali più o meno gravi», il 44,7% (732) ha una certificazione per il sostegno in classe. Si comprende la preoccupazione degli operatori che denunciano una gestione poco attenta. «Può accadere che, in mancanza di interlocutori – il Municipio non ha un assessore ai servizi sociali – lo stesso progetto venga portato avanti per anni, anche se l’utente è cresciuto e avrebbe bisogno di iniziative su misura», sottolinea Vinciotti.


Si capisce perché l’emergenza più sentita sia quella che riguarda i minori e perché le proposte si concentrino sui servizi alla famiglia e alla genitorialità, sulla scuola (da riqualificare con progetti mirati), sull’accompagnamento all’impiego e la formazione (nel 2009, per dire, in tutta Tbm sono state erogate 15 borse lavoro), su una progettualità che promuovere «forme di educazione più informale», come si auspica Diamanti.


È auspicabile che ci si attivi subito, sottolineano gli operatori. Sarebbe un segnale importante e aiuterebbe a spazzare via la rassegnazione. Qui i cittadini nel 2009 hanno sollecitato il Comune perché asfaltasse una stradina di raccordo fra palazzine altrimenti isolate. Alla fine l’hanno spuntata. «Via mejo de gniente» si legge nella targa collocata. Un nome ironico, proposto dai residenti e accolto dall’amministrazione. Chissà, un modo scaramantico per augurarsi un futuro migliore.


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