Cultura

Top manager, pronti all’esodo

Sono sempre di più i dirigenti pronti a far le valigie per il terzo settore. Buone relazioni spesso sono preferite a buste paga pesanti. Ma anche al non profit tocca la sua parte

di Ida Cappiello

Dan Lerner è un ?cacciatore di teste?. Il suo sogno è far approdare qualcuno dei suoi candidati migliori nelle organizzazioni della società civile «per soddisfare un bisogno di competenze» afferma «che sta diventando acuto». Ma la novità non è questa. O, almeno, solo questa. L?altra è che sono sempre più numerosi i manager disposti all?esodo dal profit al non profit. Non si direbbe, ma è così. Una busta paga pesante, evidentemente, non è più l?unico incentivo che i top manager inseguono. Cercano altro, come per esempio, soddisfazioni intangibili che solo un certo tipo di relazioni ?incondizionate? sanno offrire. E quale luogo più privilegiato delle organizzazioni non profit per soddisfare simili esigenze? Abbiamo incontrato Dan Lerner all?università Bocconi dove si svolgeva Bocconi & Jobs, l?evento che fa incontrare gli studenti con il mercato del lavoro. E con lui abbiamo approfondito questi temi. E&F: Dottor Lerner, il non profit di oggi rivendica la pari dignità con gli altri attori economici. Sul mercato del lavoro qual è la strada da percorrere secondo lei? Dan Lerner: Lo scambio reciproco di figure professionali di alto profilo. Oggi un certo numero di persone, per la verità non tante, passano dalle imprese a scopo di lucro alle associazioni o alle cooperative sociali, ma quasi mai accade il contrario. La pari dignità ci sarà quando lo scambio diventerà sistematico in entrambe le direzioni. E&F: Perché questa asimmetria? Lerner: Per tanti motivi. Innanzitutto le onlus non utilizzano i canali classici di ricerca di personale. L?ho sperimentato direttamente: due anni fa Vita pubblicò un breve articolo sulla mia esperienza, con il mio indirizzo email. Da allora ho ricevuto centinaia di lettere di aspiranti manager sociali, ma nessuna organizzazione non profit mi ha scritto. C?è ancora molta paura di inserire figure esterne forti che potrebbero diventare scomode. E&F: In che senso? Lerner: Un dirigente o un professionista di alto livello non porta solo competenze tecniche, ma necessariamente chiede un ruolo anche nella gestione organizzativa e strategica. Un ruolo a volte sgradito, perché potrebbe mettere in discussione ruoli di potere storici, in primis il fondatore dell?associazione, spesso un padre padrone, sia pure buono. Per questo si preferisce cercare sulla base di affinità etiche o anche ideologiche, pensando che questo basti. Ma non è così. E&F: Quali figure professionali in particolare sarebbero importanti? Lerner: Penso a un direttore generale che sviluppi i meccanismi organizzativi e la gestione delle risorse umane, ma anche a un direttore finanziario nelle realtà più grandi che muovono cifre importanti. Però parlo di quarantenni in carriera, (ovviamente motivati, va da sé) non di dirigenti in pensione che si dedicano alla causa, magari cercando finanziatori tra gli amici, come spesso succede nel non profit. E&F: Sono figure molto costose quelle di cui parla. Lerner: Non quanto si crede. Tanti manager sarebbero disposti a guadagnare meno in cambio di lavorare per una causa condivisa, almeno entro certi limiti. Più importante dei soldi è trovare un luogo dove ruoli e responsabilità siano chiari e riconosciuti, quella cultura organizzativa che nel non profit manca e che, attraverso l?inclusione di professionisti esterni, potrebbe svilupparsi a vantaggio di tutti.


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