Nell’anno consacrato alla biodiversità, i diversi Paesi convenuti a Doha in Qatar per la 15esima Conferenza degli Stati parte della Cites (la convenzione che regola il commercio internazionale di specie protette) non sono riusciti a superare i loro interessi, ad andare oltre i meri calcoli economici.
Quasi tutte le proposte scientifiche di tutela di specie in crisi, quelle che i dati incontestabilmente ci dichiarano essere sull’orlo del baratro ma ancora salvabili se correttamente gestite, sono naufragate in una generale discussione priva di buon senso. Per dirla con le parole di alcuni esponenti della Cites, non si era mai vista una conferenza così brutta, così politica e poco scientifica.
Le protezioni del tonno, degli squali, dei coralli sono state rigettate a mare, è proprio il caso di dirlo. Le insaziabili spinte economiche hanno avuto il sopravvento, le leggi di mercato e le forze globali di un consumismo sempre più spinto e desideroso di risorse hanno condotto la partita, condizionato scelte e voti. Tutto si è consumato in estenuanti diatribe di corridoio, contrattazioni da mercato: si è contrattato uno squalo per un corallo, un elefante per un tonno, dimentichi che se non si pone un limite all’insaziabile consumo di queste risorse il loro collasso è prossimo e a seguito collasseranno le nostre economie, e la nostra stessa stabilità sociale e politica. È vero che alcuni documenti sono stati approvati con forti spinte emotive, come hanno dichirato i convenuti. Alcuni hanno anche voluto ribadire con vigore che l’antilope tibetana e le scimmie antropomorfe vanno salvate, che non si può accettare l’estinzione della tigre, che vanno potenziate le attività di controllo… e speriamo che non rimangano solo parole. Qualche specie di anfibio, rettile o pianta è stata alla fine inserita nelle Appendici della Cites, un piccolo sforzo però, davvero troppo poco rispetto a quanto si sarebbe dovuto fare.
(Mas.R.)
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