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Tolo Tolo: un film sugli italiani, non sui migranti

"La pellicola è piacevole, a tratti divertente ma la cosa più interessante è il pubblico: non ride quasi mai e molti non capiscono bene le battute perché per comprenderle occorre sapere abbastanza nel dettaglio cosa è successo e cosa accade nei riguardi delle migrazioni e dell’Africa: tra le migliore c’è sicuramente “grazie Haftar!”. Ma pochi ridono: e chi mai sarebbe questo Haftar?". La recensione dell' ex viceministro degli Esteri con delega per l'Africa

di Mario Giro

Luca Medici (alias Checco Zalone) è un genio del marketing: da settimane fa girare un trailer musicale del suo film che poi nel film stesso non c’è. Anzi: sembra dare del film un retrogusto anticipato che invece non esiste. Così scatena polemiche sul nulla e ottiene una gran propaganda tanto da portare tutti al cinema. Sa bene che i veri personaggi dello spettacolo oggi sono i politici, li stuzzica e loro gli tirano la volata, cercando di appropriarsi di Tolo Tolo senza averlo visto. Una sorta di “a loro insaputa”! Un genio davvero.

Il film è piacevole, a tratti divertente ma la cosa più interessante è il pubblico: non ride quasi mai e molti non capiscono bene le battute perché per comprenderle occorre sapere abbastanza nel dettaglio cosa è successo e cosa accade nei riguardi delle migrazioni e dell’Africa.

Ma si sa: gli italiani sanno poco e si accontentano di sapere poco di quel che accade attorno a loro. E questo è il cuore di Tolo Tolo: una grande (e forte) presa in giro degli italiani di oggi, tutti concentrati su di sé, vanitosi e attaccati ai soldi, ecc., che Checco Zalone ben rappresenta con il suo personaggio. Nulla è concesso, nemmeno alla retorica degli “italiani brava gente”: in Tolo Tolo c’è l’italiano di oggi, talmente attratto solo da sé stesso da non accorgersi di far male agli altri. Stupidamente gira attorno a sé tanto da divenire insensibile e cattivo “a sua insaputa”. Tutto questo con lo stile bonario e leggero di Zalone che tuttavia nulla toglie a tale trama di fondo. Difatti è un film duro con gli italiani, più duro ancora dello “stile Sordi” che qualcosa ancora salvava, come la famiglia ad esempio. Anche nei film precedenti di Zalone si salvava almeno l’amore. In Tolo Tolo nemmeno la famiglia si salva, nemmeno l’amore e nemmeno la mamma.

Ridere su di sé e i sui propri difetti piace a noi italiani: si ride e si dimentica. Infondo siamo dei grandi innamorati di noi stessi, tutto incluso. Chissà se questo film lascerà una traccia. È strano osservare il pubblico alla fine: sono per lo più attoniti, stupiti. Forse pensano: siamo davvero così? Parlava di noi? Sicuramente non si aspettavano un film di questo genere. Certo sia la sinistra che la destra sono prese in giro allo stesso tempo: il fascismo come malattia, il politicamente corretto della contaminazione… La scena della lotteria sulla nave della ONG spagnola, con la scelta a peso, è una trovata. Così come il personaggio del politico che fa carriera rapidamente senza sapere nulla di nulla, senza qualità.

Tolo Tolo è il film dell’italiano senza qualità, e anche quando la qualità esiste –come nel caso del giornalista francese- essa è vacua, ancora vanitosa, effimera e pretenziosa. Lo Stato francese è messo in scena come più efficiente del nostro ma il risultato è lo stesso: ciò che è detto degli italiani vale anche per gli altri europei.

Più difficile era descrivere gli africani: le scene al villaggio di Oumar (il collega di lavoro) sanno più di Giobbe Covatta che di Checco Zalone. È complicato scherzare sulla povertà, la guerra, la violenza, il viaggio nel deserto e l’attraversamento del mare senza risultare banali o finti. Ma Zalone ci riesce bene accentrando tutta l’attenzione sul suo personaggio. Mentre nel trailer appare un immigrato un po’ opportunista, nel film gli africani di fatto scompaiono perché inghiottiti dal modo di vedere le cose del protagonista che non permette loro quasi di parlare e distorce tutto in favore della propria assenza di qualità e della propria concentrazione su di sé (l’acido ialuronico, i vestiti griffati, i soldi, le tasse ecc.). “Tu non capisci…” gli dice la ragazza alla fine: infatti noi non capiamo. Non c’è un solo momento del film in cui Zalone si accorga realmente degli altri o rinsavisca, nemmeno alla fine. Questa forse è la sua critica più forte a tutti noi, lo scherzo più amaro. Non c’è lieto fine perché non c’è fine.

La favola conclusiva sulle cicogne sembra fatta apposta per noi, non per i bambini africani a cui si rivolge: la mancanza di spiegazione del “perché a te si e a me no” dipende dal fatto che non ce lo chiediamo. Non sappiamo e non vogliamo sapere. A Checco interessa solo non pagare le tasse, una vera fissazione italica. Tutto il resto non interessa. Non c’è nessun messaggio buonista nel film, perché non c’è nessun interesse. E il cattivismo è il risultato di una ignoranza soddisfatta di sé. Tra le migliore battute del film c’è sicuramente “grazie Haftar!”. Ma pochi ridono: e chi mai sarebbe questo Haftar?

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