Mondo
Tolleranza zero per le Mutilazioni genitali femminili
Nel mondo sono oltre 200 milioni le donne e le bambine vittime di questa pratica che ha conseguenze devastanti. In Italia si stima che ve ne siano 80mila. Per contrastare il fenomeno nei Paesi d'origine Save the Children opera all'interno delle comunità locali. Unicef e Unfpa ricordano che l'eliminazione di questa pratica entro il 2030 è tra gli Obiettivi di sviluppo Sostenibile
Oggi è la Giornata mondiale contro le Mutilazioni genitali femminili (Fgm acronimo dall’inglese Femal Genital Mutilation), una pratica che Unicef e Unfpa (il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) definiscono non solo «una violazione dei diritti umani che riflette e protrae il basso status sociale di ragazze e donne in troppi luoghi, un ostacolo al benessere delle comunità e delle economie», ma anche – come sottolineano in una dichiarazione congiunta i direttori generali di Unicef, Henrietta H. Fore e Natalia Kanem (Unfpa) rappresentano «qualcosa che può essere fermato. Nel mondo sta crescendo una pressione per elminare le mutilazioni genitali femminili»
A livello globale oltre 200 milioni di donne, bambine e ragazze, per la gran parte di età inferiore ai 15 anni, sono state vittime di mutilazioni genitali femminili e ogni giorno sono costrette a fare i conti con gli effetti devastanti che questa usanza ha sulla loro vita e sul loro stesso futuro e con i gravissimi rischi anche per la loro salute, come cisti, infezioni, emorragie, disturbi urinari e gravissime complicanze al momento del parto. Se la tendenza attuale non verrà invertita – denuncia una nota di Save the Children -, altre 15 milioni di bambine e ragazze saranno sottoposte a questa pratica entro il 2030, rischiando così di subire pesanti conseguenze psicologiche e di perdere irrimediabilmente la propria infanzia.
«Sebbene negli ultimi anni alcuni Paesi abbiano finalmente messo al bando le mutilazioni genitali femminili, ancora troppe donne, e in particolare bambine e ragazze giovanissime, in più di 30 Paesi al mondo, soprattutto in Africa, Asia e Medio Oriente, sono condannate a portarsi dietro per sempre le gravissime conseguenze fisiche e psicologiche di una prassi discriminatoria, che viola chiaramente i loro diritti umani fondamentali e distrugge irreversibilmente il loro futuro. È pertanto quanto mai urgente e fondamentale che, da un lato, la comunità internazionale moltiplichi gli sforzi per far sì che questa pratica terribile venga espressamente vietata in ogni angolo del mondo e, dall’altro, che venga rafforzato il lavoro di formazione e sensibilizzazione sul campo per contrastare il fenomeno», ha dichiarato Daniela Fatarella, vice direttore di Save the Children Italia.
In apertura un rasoio, tra gli strumenti più usati per le Fgm; sopra un escissore (Etiopia -2009 foto © UNICEF)
«Oggi so perfettamente che quello che ho fatto in passato era terribilmente sbagliato», ha raccontato agli operatori di Save the Children in Somalia Hido, una donna che in passato effettuava mutilazioni genitali femminili e che ora collabora con l’organizzazione per sensibilizzare le comunità locali sul fenomeno.
«Ogni notte, prego per il perdono, non so quante ragazze abbia operato, sicuramente almeno cinquanta. Credevo che le mutilazioni genitali fossero una parte importante della nostra tradizione, e lo facevo anche per guadagnarmi da vivere. Un giorno però ho incontrato gli operatori di Save the Children e del partner locale Tass e ho deciso di fermarmi. Vado porta a porta per parlare con le donne nelle comunità locali, ormai mi conoscono e ascoltano quello che ho da dire. Il nostro lavoro di sensibilizzazione già sta portando a importanti risultati», ha raccontato Hido.
Nell’ambito dei suoi interventi di salute materno-infantile, Save the Children opera in vari Paesi per contrastare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, attraverso le sensibilizzazioni all’interno delle comunità locali, in particolare di giovani e donne, la formazione di operatori sanitari e la collaborazione con le autorità locali.
La situazione sta cambiando come segnala anche Unicef che ricorda come nei Paesi in cui opera con l’Unfpa per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, le ragazze hanno oggi meno di un terzo delle probabilità di essere sottoposte a questa tremenda pratica rispetto al 1997. «dal 2008 oltre 25 milioni di persone in circa 18mila comunità in 15 Paesi hanno pubblicamente ripudiato questa pratica. A livello globale, la diffusione è declinata di circa un quarto dal 2000», sottolineano Fore e Kanem.
Il problema delle mutilazioni genitali femminili non si ferma però all’Africa, ma con le migrazioni è arrivato in Europa dove si stima che questa pratica riguarda 500mila donne. Come ricorda una nota di Amref in Italia, una ricerca coordinata dall’Università di Milano-Bicocca, stima siano tra le 60 e le 80mila. L’ong, in collaborazione con la Asl Roma 1/Samifo e il Centro di Riferimento Regionale per il Contrasto alle Mutilazioni Genitali Femminili/Ospedale San Camillo-Forlanini avvierà a Roma un progetto che intende prevenire e contrastare la pratica delle Fgm attraverso attività di formazione dei professionisti coinvolti, di empowerment e coinvolgimento attivo delle comunità migranti e di sensibilizzazione e comunicazione sul tema. Il progetto è sostenuto con i fondi 8 per mille della Chiesa Valdese.
«La comprovata esperienza e le buone pratiche di Amref in Africa sul tema delle Fgm sono rilevanti per il rafforzamento delle competenze e degli approcci del sistema socio-sanitario italiano che affronta questa sfida», afferma Paola Magni, coordinatrice del progetto per Amref. «In Italia come in Africa, Amref promuove un approccio integrato alla lotta alle Fgm concentrandosi sull’ecosistema in cui questa pratica prospera, promuovendo un approccio di prevenzione che considera il contesto giuridico, i sistemi comunitari, l’educazione, i sistemi socio sanitari, i dati e la ricerca».
La sinergia con i sistemi sanitari pubblici. Nel successo di questa battaglia in Africa, Amref fa leva su due componenti essenziali: da una parte il diretto coinvolgimento delle comunità beneficiarie e di chi le guida, dall’altra la stretta collaborazione con i sistemi di salute pubblica. Il nuovo progetto in avvio con la Asl Roma 1/Samifo e il Centro Regionale per il Contrasto alle Fgm si fonda proprio su questa comprovata esperienza, puntando sul rafforzamento delle competenze e degli approcci del sistema socio-sanitario italiano e dei suoi operatori. «È necessario informare e formare le persone che entrano in contatto con le donne, dunque ostetriche, ginecologi, medici di base, le varie figure che operano nei consultori» spiega Giancarlo Santone, Asl Roma 1, Responsabile Centro Sa.Mi.Fo, che aggiunge: «Parlare di Fgm non è parlare di qualcosa che è dall’altra parte del mondo. È necessario attivarsi anche in Italia per prevenire la pratica, aiutare le donne che ne sono state vittime e accrescere la consapevolezza anche di uomini e famiglie».
In Kenya incontro sulle conseguenze delle Fgm (foto © UNICEF)
Tra le persone che arrivano in Italia per chiedere protezione, le donne sono presenti in numeri sempre più significativi e costituiscono la categoria maggiormente esposta a varie forme di violenza di genere, tra cui proprio la mutilazione genitale che spesso è la causa che spinge una donna o una ragazza ad abbandonare il proprio Paese.
Moltissime donne che chiedono, e a cui viene riconosciuta, la protezione internazionale nel nostro Paese – ricorda una nota dell’Unhcr – provengono da Paesi che registrano tassi significativi di incidenza della pratica sulla popolazione femminile: ovvero la Nigeria, la Somalia, l’Eritrea, dove la pratica riguarda rispettivamente circa il 25%, il 98% e il 83% della popolazione femminile. «Parlare delle mutilazioni genitali femminili, informare e formare gli operatori e i professionisti che vengono a contatto con le donne che le hanno subite, creare una rete internazionale è l’unico modo per cercare di combattere il fenomeno ed eradicare definitivamente questa pratica, tra le più discriminatorie e disumane che una donna possa subire» ha dichiarato Helena Behr, responsabile Unhcr per il contrasto alle Fgm.
L’impegno dell’Unhcr è sempre più orientato a sostenere progetti di questo tipo promossi da Ong italiane e recentemente ha avviato, insieme con l’associazione “Differenza donna”, un progetto finalizzato a fornire e disseminare materiale informativo sulle mutilazioni genitali femminili, ad accrescere l’attenzione al fenomeno e le competenze in merito, come anche a rafforzare la cooperazione tra tutti gli attori coinvolti nella identificazione e presa in carico delle vittime, facilitando l’accesso ai servizi e alla procedura di protezione internazionale.
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