La società civile aveva esultato : voto 10 al Governo Monti per aver finalmente introdotto – nel Disegno di Legge di Stabilità 2013 – la Tobin Tax. Cioè in pratica, una “imposta di bollo sulle transazioni finanziarie” a decorrere dal primo gennaio 2013, con aliquota dello 0,05% per: compravendita di azioni emessi da soggetti residenti nel territorio statale[1], operazioni sui derivati[2] nelle quali “almeno una delle controparti sia residente in Italia e che siano diverse da quelle relative ai Titoli di stato emessi dai paesi dell’Unione Europea[3]. Per noi comuni mortali una tassa sulle transazioni finanziarie.
E invece no: il voto 10 diventa un 6 -; la buona notizia è messa fortemente a rischio dall’impianto normativo attualmente in discussione al Senato e dal dibattito sviluppatosi in queste settimane che rischia di disattendere quelli che sono gli obiettivi ispiratori della TTF (Tassa sulle Transazioni Finaziarie).
La sorpresa è arrivata pochi giorni fa, lo scorso 22 novembre, in piena discussione del Disegno di Legge Stabilità 2013 alla Camera dei Deputati, quando il Governo stesso ha introdotto una modifica normativa che esentava, di fatto, la tassazione sui derivati, dando quindi ascolto alle voci insistenti dei trader degli istituti bancari fortemente penalizzati dalla tassazione sugli “strumenti finanziari derivati”, dato che, la maggior parte dei derivati è detenuta da banche commerciali, banche d’investimento, compagnie assicurative, società di leasing, finanziarie, fondi pensione ed hedge funds e sono quindi queste le categorie interessate all’esenzione della tassa sui derivati che garantirebbe la maggior parte del gettito stimato dal Governo.
Per il momento, grazie ad un ordine del Giorno presentato dal Partito Democratico – che impegnava l’esecutivo a comprendere anche i derivati tra strumenti finanziari cui applicare la cosidetta Tobin tax – la Camera dei deputati ha rispedito al mittente la “norma salva banche”; l’ordine del giorno ha ottenuto un sostegno bipartisan: 433 i sì, sei i no, otto gli astenuti. Ma la battaglia continua al Senato della Repubblica.
Le domandine oggi sono tre, a tre interlocutori diversi.
La prima è per il settore bancario: è vero si tratta di un settore in crisi, come del resto tutti noi, tutta l’Italia. Ma è anche vero che continua distribuire dividendi ad azionisti e manager. Quindi perché una volta tanto non fa un gesto di stile e lascia tassare i derivati per il bene di tutti?
L’altra domanda è per il Governo: perché si dà più ascolto ai mercati finanziari che alla società civile? La quale da diversi anni – grazie alla Campagna Zerozerocinque – chiede l’introduzione di una Tassa Sulle Transazioni Finanziarie che metta un freno alle speculazioni finanziarie e generi gettito da allocare alle spese sociali, alla cooperazione e a contrastare i cambiamenti climatici?
E infine una domanda ai Senatori, che più che una domanda è una call to action, come si dice nel gergo degli attivisti e dei campaigners: dato che i vostri colleghi Deputati hanno dimostrato un alto senso di serietà e di responsabilità votando all’unanimità l’Ordine del Giorno presentato dal Partito Democratico volete essere da meno e far passare una norma che difende i poteri forti della finanza invece di tutelare i più deboli?
[1] Per le transazioni relative alle azioni, la base imponibile è costituita dal oggetto della transazione. L’imposta è dovuta anche per operazione effettuate all’estero, ma sono escluse le operazioni di emissione ed annullamento titoli.
[2] I derivati sono contratti il cui valore deriva da quello di un altro titolo o bene “sottostante”. I titoli derivati, nati inizialmente come strumenti di copertura dei rischi, entrano nella finanza speculativa perché permettono di scommettere sull’andamento futuro di un dato prodotto o titolo finanziario. Negli ultimi anni i derivati sono arrivati a essere 14 volte il Pil mondiale (scesi a 12 dopo la crisi), mentre le attività finanziarie cui si riferiscono (azioni, obbligazioni, attività bancarie) sono non più di due volte il Pil mondiale.
[3] Sui derivati la imponibile è costituita dal valore nazionale del contratto di riferimento.
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