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Tobin tax, perché no? I pro e i contro messi a confronto
Verso il G8. Lidea di tassare le transazioni finanziarie solleva pareri favorevoli e contrari
Pochi mesi per mandare all?aria i risultati di vent?anni di lotta alla povertà. La crisi finanziaria che colpì a metà degli anni ?90 il Sud-Est asiatico ridusse in cenere i progressi economici e sociali di quell?area. In due anni il tasso di disoccupazione triplicò in Indonesia e in Corea e quadruplicò in Thailandia. In Indonesia il presidente Habibe arrivò a chiedere alla popolazione di digiunare due volte alla settimana per risparmiare il riso. Per evitare che altre crisi valutarie possano produrre risultati analoghi in Paesi dalle economie fragili a vantaggio di pochi abili manovratori di ingenti flussi di denaro, da anni si discute sulla possibilità di introdurre una tassa sulle transazioni valutarie. Il primo a elaborare una proposta fu nel 1972 l?economista statunitense James Tobin, con un?ipotesi di tassare le transazioni finanziarie nota come Tobin Tax. Una tassa di cui molti predicano l?inapplicabilità, ma di cui oggi si torna a discutere, anche alla luce di nuovi studi.
«L?idea di Tobin non è immune da critiche», ammette Elisabetta Pugliese, docente di Politica Economica all?Università Roma Tre, che collabora con la Focsiv (federazione di 52 ong) per la campagna pro Tobin ?Una tassa per lo sviluppo?. «Ma l?idea di tassare le transazioni finanziarie per impedire che le crisi finanziare abbiano un impatto devastante sulle economie di alcuni Paesi non deve essere abbandonata». Negli ultimi anni sono state elaborate proposte che superano alcune delle principali obiezioni mosse da chi si oppone all?introduzione di una tassa sulle transazioni valutarie. Quali? «Per evitare che si colpiscano anche le transazioni in valuta destinate a investimenti produttivi, e che l?esiguità del prelievo lasci invariato il ritorno delle operazioni speculative durante le crisi valutarie», continua Pugliese, «nel 1995 Bernd Spahn, docente di Finanza pubblica a Francoforte, propose di istituire una Tobin a doppio livello. Che prevedesse cioè l?applicazione di un?aliquota ordinaria dell?1% alle transazioni valutarie e un?aliquota straordinaria in caso di crisi finanziarie, variabile in proporzione alla loro gravità». Anche in questo caso non mancano critiche, rivolte principalmente al meccanismo di applicazione del doppio livello di imposizione. «Ma sarebbe sufficiente», ribatte Pugliese, «definire il tasso di cambio di riferimento per ogni valuta e individuare dei parametri, uno superiore e uno inferiore, entro i quali lasciare oscillare il cambio. Quando uno dei due è superato, scatta l?aliquota straordinaria che colpisce le transazioni speculative».
Rimarrebbe il problema della riscossione, in particolare per quelle operazioni di difficile individuazione in grado di replicare gli effetti di una transazione valutaria senza che questa si manifesti palesemente. Lo scorso anno Rodney Schmidt, esperto di ingegneria finanziaria dell?ente di ricerca canadese International development research centre, nel corso di uno studio commissionato dal governo per dimostrare l?inapplicabilità di un tassa sulle transazioni valutarie, trovò la soluzione a una delle maggiori critiche. «Secondo Schmidt», conclude Pugliese, «con il sistema di liquidazione simultanea impiegato dagli istituiti centrali dei maggiori Paesi per regolare le transazioni attraverso un complesso meccanismo, è possibile tenere sotto controllo i movimenti di valuta, tassare gli scambi e riscuotere la tassa. Una proposta che finora non ha ricevuto né critiche né smentite». Anche alla luce di queste conferme, la Focsiv ha annunciato nei giorni scorsi la presentazione di un disegno di legge per l?introduzione della Tobin Tax anche in Italia.
Info: www.focsiv.it
La lista dei pregiudizi
OBIEZIONE
· Una tassa tipo Tobin è inattuabile perché richiede il coordinamento di tutti gli Stati
· Non è definito chi si prenderebbe la responsabilità di gestire la tassazione e di controllare i movimenti di capitale
· Se si applicasse davvero la Tobin Tax produrrebbe effetti negativi
· Non è giusto tassare le transazioni valutarie. L? imposizione verrebbe incorporata nelle aspettative degli speculatori e si ripercuoterebbe sui tassi di interesse
REPLICA
· “Il 90% delle transazioni in valuta avviene su 4 mercati finanziari”, sostiene Paolo Palazzi, docente di Economia dello Sviluppo all?Università La Sapienza. “Francoforte, Londra, New York e Tokio. Sarebbe facile individuare i flussi anche senza la cooperazione di tutti gli Stati”.
· «Il problema» spiega Elisabetta Pugliese (vedi articolo), «è stato risolto dall?ingegnere finanziario Radney Schimdt, che ha dimostrato come il ricorso la liquidazione simultanea risolva il problema del controllo. Della gestione invece potrebbero occuparsi le banche centrali».
· «Il gettito che ne deriverebbe», afferma Sergio Marelli, direttore della Focsiv, «verrebbe utilizzato per finanziare programmi di aiuto a favore dei paesi poveri, costituirebbe un deterrente per movimenti speculativi e di conseguenza verrebbero recuperate risorse da destinare a investimenti produttivi. Se questi sono effetti negativi?»
· «Ogni operazione che facciamo è soggetta a tassazione», ribatte Palazzi. «E gli interessi non sono certo influenzati da una tassa che colpisce solo i movimenti a breve».
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