Politica
Tobin tax, istruzioni contro il cattivo uso
Il professor Becchetti spiega come il Governo abbia «previsto un miliardo di euro di gettito, salvo poi stravolgere l’imposta per accontentare una certa lobby bancaria»
La «Tobin tax», approvata dal governo in tempi rapidissimi come una qualunque tassa su fumo e alcol, con l’obiettivo di far quadrare i conti, ha tutte le caratteristiche per essere inquadrata come un pasticcio all’italiana. In sostanza, come chi pensa di poter avere la botte piena e la moglie ubriaca, il governo ha previsto un miliardo di euro di gettito, salvo poi stravolgere l’imposta per accontentare una certa lobby bancaria. Il provvedimento così snaturato, è arrivato al traguardo profondamente trasformato rispetto alla proposta iniziale avanzata dalla rete '005' e dall’iniziativa degli undici Paesi Ue, il cui iter procede a livello comunitario. In sostanza, invece di imporre una tassa molto bassa (5 per diecimila) su tutte le transazioni, si alza l’aliquota (fino al 12 per diecimila) e si restringe la base imponibile alle azioni e ai derivati sulle azioni. Tassando così, tra l’altro, non le singole operazioni, ma i saldi a fine giornata.
Il motivo dello stravolgimento? Semplice: grandi banche massimizzatrici di profitto preferiscono dedicarsi al trading rispetto all’attività di credito tradizionale, e si battono per salvare le contrattazioni via internet di operatori fai-da-te su piattaforme di loro proprietà, per evitare allo stesso tempo la tassa sull’enorme mole delle operazioni ad alta frequenza sui derivati che è quasi interamente gestita da loro. L’obiettivo ambivalente perseguito dal governo non produce però i risultati desiderati. L’aliquota troppo elevata aumenta infatti l’elusione e riduce il gettito, mentre tassare solo i saldi a fine giornata è la beffa che colpisce il trading lento e paziente degli investitori e non quello ad alta frequenza e speculativo degli algoritmi automatici che aprono e chiudono posizioni nella stessa giornata.
Nessuna sorpresa, dunque, per chi ha una minima conoscenza dei mercati finanziari, se invece di un miliardo di euro la tassa ha prodotto una raccolta molto più magra, e prossima ai 200 milioni. La campagna '005' sta proponendo tramite l’Intergruppo parlamentare sulla Finanza sostenibile un emendamento per ritornare al provvedimento originario, puntando ad abbassare l’aliquota e a estendere la base imponibile, applicandola a tutte le transazioni. Gli operatori del settore stimano che al di sotto del 3 per diecimila i clienti non percepirebbero neanche la tassa e non farebbero nulla per evitarla.
E dunque sarebbe possibile, su una base imponibile stimata di quasi 12 trilioni di transazioni annue per il 2013 in Italia (si badi bene: in aumento nonostante le Cassandre che prevedevano un crollo delle transazioni) e con una tassa pari a 2 per diecimila raccogliere circa 2,4 miliardi di euro. Arrivando al 5 per diecimila, come propone la campagna '005', il gettito sarebbe sicuramente maggiore perché, anche ipotizzando una riduzione delle transazioni del 20% (ovvero la stessa reazione prodotta in Francia da un’aliquota doppia) il gettito sarebbe comunque superiore ai 4 miliardi. Si possono ovviamente formulare ipotesi molto più prudenti di quelle formulate dagli stessi addetti ai lavori ma si resta comunque ben la di sopra del miliardo messo in bilancio dal governo.
La scelta dell’aliquota effettiva da applicare si può discutere, ma va fatta ricordando che gli obiettivi che persegue la tassa sono molteplici: oltre al gettito, ridurre gli incentivi degli intermediari e spostarli verso attività produttive e non speculative nonché ridurre la 'tossicità' dei prodotti finanziari offerti alla clientela. Il fine è riportare la finanza al servizio del Paese. Per arrivare a questo risultato, accettabile anche per gli intermediari, bisogna però elevare il tono del dibattito. Per esempio, sgombrando subito il campo da timori assolutamente infondati dal punto di vista teorico ed empirico, come quelli dell’effetto di questa aliquota (pur così bassa) sul costo del debito pubblico. È semmai vero il contrario: come suggeriscono gli stessi esperti della Ue, tassare gli scambi di titoli pubblici sul mercato secondario può ridurre la volatilità e aumentare gli incentivi per chi può operare in asta ad acquistare sul primario, riducendo così il costo del debito. Provare per credere.
Pubblicato su Avvenire il 10/11/13
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