Welfare

Tiziano Treu: «Sul lavoro l’Italia si è comportata bene nella fase difensiva. Ora si passi all’attacco»

Il presidente del CNEL commenta i dati sull'occupazione del 2020 e mette in fila l'agenda per il 2021. Immaginare «un'uscita scaglionata dal blocco dei licenziamenti», dare attenzione a donne e giovani, «correggere il funzionamento del Reddito di Cittadinanza» e sul Recovery Plan, tra le altre cose, «la necessità di partecipazione non episodica delle parti sociali»

di Lorenzo Maria Alvaro

Al 31 marzo, con la fine del il divieto di recesso in vigore ormai da un anno, si stima che ai 444mila occupati in meno del 2020 se ne aggiungeranno altri 400mila. «Nonostante questo, anche conteggiandoli nel computo dei disoccupati, l'Italia può vantare una performance migliore degli altri Paesi europei. Questo grazie all'uso massiccio degli strumenti di protezione del lavoro, della rete di solidarietà che abbiamo molto forte e di un export che non si è mai fermato», spiega il presidente del CNEL, Tiziano Treu. L'intervista


Il 2020 è stato un annus horribilis per il lavoro…
I dati ufficiali dicono che alla fine dell'anno scorso la perdita di occupati si è attestata sulle 444 mila unità. Prevalentemente donne. I giovani risultano meno, semplicemente perché è aumentato il tasso di inattività. Significa che non sono entrati e non entrano nel mondo del lavoro. Che è un dato ancora più grave. Il quadro è che, nonostante la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti, l'occupazione è calata, soprattutto per le fasce più deboli. Ma non bisogna dimenticare che anche la categoria degli autonomi, che storicamente è sempre stata più solida, è stata colpita duramente. Per questo il Cnel ha proposto di dare anche a loro una protezione minima. Speriamo che nella riforma degli ammortizzatori sociali annunciata da Draghi ci sia questa attenzione.

A proposito degli autonomi, un dato in controtendenza è il mancato crollo delle partite iva…
Non c'è stato un crollo ma ne nascono molte meno. La perdita copiosa di posizioni non è avvenuta perché molti dipendenti sono passati a partita iva per continuare a lavorare con i propri datori di lavoro. Vengono aperte molte meno posizioni sul 2020 per un discorso simile a quello del tasso di inattività. Si tratta di risorse che non vengono impiegate dal nostro sistema economico.

Intanto non si sa ancora che succederà con il blocco dei licenziamenti…
Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata perché la pandemia continua. Occorrerà fare qualcosa. Dipende tutto da come va l'emergenza. Se dura ancora mesi, come sembra, ci potrà essere un prolungamento del blocco. Però è chiaro che non si può continuare così all'infinito. Sarebbe il caso di andare a vedere quali settori si sono ripresi e quali sono ancora effettivamente colpiti. Si può immaginare una protezione solo per alcuni segmenti. La via migliore sarebbe un'uscita selettiva dal blocco.

Guardando ai dati Eurostat sulla disoccupazione, nonostante tutto, anche conteggiando i 400 mila disoccupati potenziali che avremmo alla fine del blocco dei licenziamenti, l’Italia ha una buona performance rispetto agli altri Paesi. Come si spiega?
La performance difensiva italiana è stata molto buona grazie all'uso massiccio degli strumenti di protezione del lavoro, della rete di solidarietà che abbiamo molto forte e di un export che non si è mai fermato. Un combinato disposto che ha permesso alla nostra economia di non bloccarsi completamente. Adesso però bisogna passare all'attacco.

Come?
Per le donne bisogna rafforzare gli strumenti che già ci sono. L'uscita femminile dal mondo del lavoro dipende dalla difficoltà di conciliare il lavoro con la famiglia. Riaprire definitivamente le scuole e rafforzare i servizi all'infanzia è fondamentale per tornare alla normalità. Poi più avanti bisognerà creare posti di lavoro adatti alle donne. Penso in particolare alla green economy.

E sui giovani?
Non bastano gli incentivi. Servono grandi investimenti sulla formazione, ma su una formazione giusta. Formazione tecnica, mestieri del futuro e digitale. Non possiamo avere solo un decimo degli Its della Germania.

Il Reddito di Cittadinanza sembra aver funzionato come sostegno ai più deboli. Molto meno come leva per l'ingresso al lavoro. Che fare?
Era evidente sin dall'inizio che il Reddito di Cittadinanza ha delle lacune e che è più un aiuto alle fasce povere che uno strumento per il reingresso nel mondo del lavoro. Sicuramente ci vogliono più controlli in modo che l'aiuto vada a chi davvero ha bisogno. Poi bisogna aiutare le famiglie. Allo stato attuale si aiutano più i single che i nuclei numerosi. E infine deve necessariamente cominciare a reintrodurre davvero chi è abile nel mondo del lavoro. Va migliorato.

Lei ha anche recentemente parlato di una riforma fiscale. Perché?
Il CNEL è profondamente convinto dell'importanza di una riforma del fisco organica. Serve una minore pressione fiscale su imprese e lavoratori e l'adozione, previo confronto con le parti sociali, di un sistema per ridisegnare un prelievo che, sulla nuova e più ampia base imponibile, recuperi l'allontanamento realizzato negli anni rispetto ai principi costituzionali di equità e progressività. Così com'è oggi il sistema è iniquo.

Il PNRR è il campo su cui è caduto il Governo Conte. Cosa pensa del Piano?
Che si evidenzia una macroscopica carenza di un modello di governance. Il punto debole del Piano non sta nell'impostazione politica, che è pienamente convergente con gli orientamenti europei, ma piuttosto nella difficile gestione applicativa dei progetti. Le 48 linee progettuali appaiono prive di un sia pur schematico cronoprogramma. È indispensabile allestire con tempestività un sistema di governance emergenziale, fondato su una strumentazione ordinaria per quanto riguarda i soggetti istituzionali da coinvolgere. Un piano straordinario richiede capacità di intervento straordinario. Solo un sistema di governance chiaro è in grado di identificare una altrettanto chiara 'filiera' delle responsabilità politiche, amministrative e gestionali. Un punto cruciale riguarda la necessità di partecipazione non episodica delle parti sociali sia alla fase di elaborazione dei progetti, sia alla fase della implementazione, quest'ultima decisiva eppure, nella esperienza passata, molto carente.

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