Non profit
Tira tempestasull’energia solare
inchiesta Perché le aziende di energia rinnovabile tremano in Borsa
di Redazione

Alla Borsa del sole si rischiano brutte scottature. Perfino oggi, con il petrolio che splende su in alto a 150 dollari – e qualche trader ha già acquistato opzioni a 300 dollari sui future di dicembre – e con i paletti ambiziosi fissati dalla comunità internazionale per far crescere la quota delle fonti rinnovabili al 20% del fabbisogno energetico.
Dopo un 2007 di gran carriera, i titoli delle aziende del fotovoltaico sono diventati intrattabili: volatili, incostanti, soggetti a improvvisi rialzi e soprattutto a discese da brivido. Più che l’alba dell’energia pulita, sui listini spunta la lunga ombra della bolla “verde”. Q Cells, il più grande produttore mondiale (made in Germany) di pannelli solari, ha perso dal primo gennaio 2008 il 44% del suo valore. I cinesi Yingli Green Energy il 63,6%, gli spagnoli di Solaria Energia il 63,2%. Qualcuno ha viaggiato al ritmo di performance formidabili (Energy Convertion Devices, +90%), ma il grosso del paniere del Photon Photovoltaic Index naviga in profondo rosso. Così come l’ultimo arrivato, il Mac Solar Index, affiancato dal primo Etf, ha lasciato sul terreno il 25% di capitalizzazione.
Tonfi rumorosi quasi da crisi subprime, da aziende affossate dal caro greggio e dalla recessione dei consumi, piuttosto che rampanti società in grado di sostenere – sostituendo gli idrocarburi – il prossimo sviluppo del pianeta. Tanto che gli analisti di Merril Lynch, dopo aver declassato diversi titoli da neutral a sell (come Sun Power, Evergreen, First Solar) hanno invitato gli investitori alla massima cautela sul settore.
È la fine della corsa? Sotto il sole del fotovoltaico le cose sembrano più complicate che altrove. L’era dei – pochi – titoli verdi su cui puntava la finanza etica è tramontato per passare di mano alla speculazione e alla logica dei sussidi. Sul fotovoltaico, pingue di aiuti statali in attesa di un suo decollo e fanalino di coda nella produzione energetica, si sono buttati in tanti. Forse in troppi. Dalle compagnie petrolifere, British Petroleum con la mano destra trivella il pianeta con l’altra lancia la divisione sul solare, a quelle assicurative, costruttori, magnati in cerca di ghiotte opportunità di business.
Tanto che lo scorso anno gli investimenti sul solare hanno raggiunto l’ennesimo record: +254%, crescita a tre cifre che prosegue dal 2004 e oggi si aggira attorno a 28,6 miliardi di dollari (148 il totale della spesa per le fonti rinnovabili). Poca cosa rispetto al fiume di denaro uscito dalle casse per il lifting agli impianti di raffinazione e per la ricerca di nuovi giacimenti: solo l’Arabia Saudita ha promesso 130 miliardi per incrementare la produzione nazionale. Ma molto per una risorsa che vale lo 0,06% dei consumi elettrici mondiali.
Una corsa sfrenata, premiata in prima battuta dall’euforia della Borsa (Prometeus indica una crescita del 47% dal 2001 al 2007), ma che ora, per la prima volta, si trova con un’offerta che supera la domanda. Una sovracapacità produttiva che spinge in basso prezzi e deprime i margini. E per gettare altra benzina sul fuoco incominciano a scarseggiare pure i finanziamenti statali. Sui tre più promettenti mercati del solare, Germania, Spagna e Stati Uniti, tira aria di sforbiciata sui sussidi del Conto energia. Berlino ha già tagliato del 7% le agevolazioni, con l’obiettivo di far camminare il settore con le proprie gambe. A settembre Madrid dovrebbe seguire a ruota con un provvedimento analogo. E così si muoverà il Congresso degli Stati Uniti. Un clima incerto e quindi ideale per gli hedge fund, i fondi speculativi, che contribuiscono a far ballare ai titoli del sole walzer indiavolati. E le azioni, non c’è prezzo del petrolio “insostenibile” che tenga, crollano.
La ricerca tecnologica e la grande offerta hanno fatto il resto. Gli analisti di Ambian stimano che da 3 GW di potenza per modulo si passerà nel 2010 a 15 e 20 GW L’impianto installato oggi è già obsoleto domani. Il tutto mentre schizza il prezzo del materiale principe del solare: il silicio, presente in quantità pressoché infinite in natura (il più diffuso elemento sul pianeta dopo l’ossigeno), ma molto costoso nei suoi processi produttivi. Nel 2003 un chilo di silicio valeva 25 dollari, oggi 400. «Ci aspettiamo una sovracapacità produttiva per la seconda metà del 2009», ha detto Jenny Chase, senior associate di New Energy Finance. «Il mercato non si sta espandendo velocemente quanto la produzione». Altra magagna arriva dall’eccessiva finanziarizzazione. In termini di investimenti, il mondo scommette maggiormente sull’eolico, prima fonte energetica per spesa (50 miliardi). Ma è sul solare che si sono concentrate le attività di venture capital e private equity, per un totale di 3 miliardi di dollari. Partecipazioni di 3 /4 anni e poi via all’Ipo spedendo in Borsa società spesso tutt’altro che solide.
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