Famiglia

Tim Burton fa il furbo

Una pellicola piena di maestria, con doppiaggi di alto livello (nell’edizione originale). Ma da Burton ci si poteva aspettare più inventività

di Maurizio Regosa

Forse qualcuno ricorda le Silly Simphonies, brevi siparietti Disney della fine degli anni 20. I protagonisti erano irriverenti scheletri ballerini e musicanti, fra i primi testimoni di una verità indiscutibile del cinema d?animazione, il più disinvolto quanto a principio di realtà. Si può essere cartoni vivi o cartoni morti ma, sullo schermo, non si può morire.

Di quell?esperienza e di questo insegnamento, mai messo in discussione (credo nemmeno da Tex Avery, il più ?terribile? di tutti gli autori d?animazione), si è ricordato Tim Burton per il suo La sposa cadavere. Nel senso che ha ripreso l?idea del personaggio animato morto e lo ha messo in relazione con uno vivo. Spingendosi a contestare anche il tabù della fine (qui il cattivone muore avvelenato cambiando, ovviamente, colore) e soprattutto giungendo a opporre il vivace, vivacissimo mondo dei defunti con lo smorto, noioso e prevedibile universo dei viventi (aristocratici o pescivendoli poco importa: sono sempre e in ogni caso insopportabilmente schiavi delle convenzioni e insensibili).

Rovesciamento non inedito ma che ha un suo fascino. Anche perché si intreccia con un altro ribaltamento: maschio debole, donna forte. Anch?esso non inedito, ma piuttosto attuale. Così a pretendere la mano dell?introverso e timidissimo Victor – volto somigliante e voce originale di John Deep – è Emily, una morticina fascinosa doppiata da Helena Bonham Carter, che tanto lo desidera da non esitare nemmeno di fronte alla promessa di lui nei confronti di Victoria, fidanzata viva e pure innamorata?
Ma l?acchiappo salta in virtù del classico ripensamento dell?ultima ora, una rinuncia che si inserisce con naturalezza in quel romanticismo goticheggiante ormai ben conosciuto (e apprezzato, nella sua gratuità) che è il marchio di Tim Burton (romanticismo che si fa crudele nel contemporaneo La fabbrica di cioccolato).

Il risultato è un film apprezzabile per la maestria della messa in scena, che prima scivola nel musical per poi virare nel feuilleton e quindi occhieggiare all?horror, un po? discontinuo e frammentario (è vero: la sceneggiatura avrebbe potuto essere più curata e inventiva). Non mancano certo momenti divertenti – specie nel mondo degli inferi – e trovate originali. A ben cercare però sono spesso citazioni parodistiche. Un esempio? La figura e lo studio del sapiente sono ricalcate niente meno che su un capolavoro dell?espressionismo tedesco, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene.

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Enron, l’economia della truffa, di Alex Gibney, Usa
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