Salute

Ticket. Movimento Consumatori: “Colpite le fasce più deboli”

Un'indagine dell'associazione mette in luce le differenze regione per regione

di Movimento Consumatori

Dopo tre mesi dall’approvazione della nuova legge sui ticket, Movimento Consumatori ha realizzato un’indagine su come le regioni si siano adeguate alla nuova norma. Il ticket è stato introdotto da tutte le regioni, tranne Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento e Sardegna, che hanno detto no al ticket di 10 euro sulla specialistica. La Sardegna sta pensando comunque ad un aumento “simbolico” di 1 euro per tutti.

Liguria, Lazio, Basilicata, Calabria hanno introdotto il ticket di 10 euro a  ricetta, così come previsto dalla legge nazionale e senza modulazioni. Friuli Venezia Giulia, Campania, Molise hanno deciso di introdurlo, ma si parla di eventuali rimodulazioni. Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Marche e Veneto hanno modulato il ticket in base alle fasce reddituali. L’Abruzzo invece ha previsto l’applicazione del ticket per nuclei familiari con redditi superiori a 36,151 euro annui.

Lombardia e Piemonte lo hanno introdotto in base alla tipologia degli esami (contributo proporzionale al valore della prestazione, che però viene pagato da tutti nella stessa misura a prescindere dal reddito). In Sicilia, dove già c’era un balzello aggiuntivo di 2 euro a ricetta, sono stati aggiunti altri 8 euro per arrivare a 10 euro.

“Dalla tabella che abbiamo realizzato risulta che ci troviamo di fronte a 20 sistemi diversi – commenta Rossella Miracapillo, responsabile dell’Osservatorio Farmaci & Salute del Movimento Consumatori – e nella stragrande maggioranza dei casi non sono tutelate le fasce deboli della popolazione. E’ aumentata la pressione economica in modo insopportabile su coloro che vivono la condizione di ‘malati’. Nessun intervento invece è stato adottato per arginare gli sprechi: consulenze esterne che incidono sulle voci di bilancio, acquisto di macchinari non sempre indispensabili, carenze di controllo sulle prestazioni erogate dalle strutture private convenzionate, mancanza di attivazione di procedure per il risk management, che ottimizzerebbe la filiera, con una conseguente riduzione delle spese, e molto altro ancora”.

“Il quadro che emerge – continua la Miracapillo – fotografa purtroppo una situazione in cui viene sempre meno il concetto sociale di assistenza, che era insito nel Sistema sanitario nazionale. Un sistema, il nostro, fondato sulla reciproca sussidiarietà e che viene così depauperato dei criteri di equità e di efficienza, a favore del sistema privato che in queste situazioni risulta avvantaggiato. I costi elevati per accedere alle prestazioni pubbliche si aggiungono a interminabili liste di attesa. Le persone preferiscono, quindi, rivolgersi alle strutture private per la loro celerità”.

“La spesa per i cittadini è decisamente aumentata – conclude la Miracapillo – per esempio, una persona che si reca al pronto soccorso che dichiara di avere un dolore a livello gastrico, se sottoposto a visita cardiologica, elettrocardiogramma, consulto chirurgico e ecografia, senza che si evidenzi nulla di serio, può pagare anche 130,15 euro (30,00 euro per il cardiologo e l’elettrocardiogramma più 10,00 euro di ticket nazionale, 19,00 euro per la visita chirurgica più 10,00 di ticket nazionale, 36,15 per l’ecografia, 25,00 per il codice bianco)”.


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