Politica
Tiberio Gracco il popolo entra nella storia.
Roma, secondo secolo avanti Cristo. La storia di Caio e Tiberio Gracco. Cenni bibliografici.
di Redazione
Tiberio Sempronio Gracco, come il suo fratello più giovane, Gaio, era il frutto di un’unione prestigiosa, quella tra un illustre uomo politico, Sempronio Gracco, e la figlia di Cornelio Scipione l’Africano, colui che aveva sconfitto Annibale. Due gentes, due tradizioni politiche e culturali eccezionali che lasciavano presagire per lui una carriera politica di successo nella Roma del secondo secolo a.C., ormai padrona di un impero mediterraneo, vincitrice della sua secolare avversaria, Cartagine, e pervasa dalla raffinata cultura greca.
Invece, i due fratelli Gracchi, nella maggior parte della tradizione letteraria romana, appaiono come dei sovversivi facinorosi, avversari ostinati del Senato di Roma e pericolosi aspiranti a un potere tirannico. Qual è la ragione di tanta ostilità?
Dopo la seconda guerra punica, Roma, da potenza italica si era praticamente trasformata in un impero “mondiale” e si era trovata a confrontarsi con le maggiori potenze che si affacciavano sul Mediterraneo, i regni ellenistici eredi dell’impero di Alessandro Magno. Nel cinquantennio successivo, la Repubblica era stata impegnata quasi permanentemente in guerre oltremare, che richiedevano un impegno pluriennale ai soldati e ai loro comandanti. Contemporaneamente, in Italia andava diffondendosi il latifondo, coltivato da masse di schiavi, che affluivano numerosi e a prezzi relativamente ridotti proprio grazie alle molte guerre, e che costituivano un fattore di instabilità a causa del pericolo sempre presente di rivolte.
Nel frattempo, però, come ricorda lo storico greco Appiano, quegli stessi soldati che combattevano in Grecia e in Asia, non avendo la possibilità di curare per molti anni di seguito le loro proprietà sul suolo italico, erano poi spesso costretti a venderle. Le famiglie si trasferivano nell’Urbe, dove le prospettive di trovare un’occupazione sembravano migliori. Inutile dire che essi finivano per andare ad accrescere quel proletariato urbano che costituirà poi sempre un’utile massa di manovra per i più spregiudicati uomini politici romani. Un discorso di Tiberio Gracco, riportato da Plutarco, descrive in toni patetici questa drammatica situazione. “Diceva che le fiere che abitano in Italia hanno ciascuna una tana , un covile e un rifugio, mentre coloro che per l’Italia combattono e muoiono null’altro hanno se non l’aria e la luce, vanno errando senza casa e dimora con figli e mogli…”.
Ma questo impoverimento della classe dei piccoli contadini proprietari aveva un effetto ben più grave, a causa del particolare sistema di arruolamento in vigore a Roma che si basava sul censo. Fin da una riforma che la tradizione attribuiva addirittura al re Servio Tullio, i cittadini, infatti, risultavano suddivisi in classi censitarie in base alle quali avveniva anche l’arruolamento militare, nella cavalleria per i cittadini più ricchi, o nella fanteria, pesante o leggera, per quelli meno abbienti. Ciò dipendeva anche dal fatto che, in principio, ogni cittadino doveva provvedere da sé al proprio armamento, più o meno costoso. Tale sistema escludeva, automaticamente, dal rango degli adsidui (benestanti) e, quindi, dall’arruolamento, i cittadini più poveri o addirittura nullatenenti. Tutti questi contadini impoveriti “scivolavano” pian piano nella classe dei non arruolabili e alla lunga poteva risultare difficile completare l’organico della fanteria media e leggera. Tutti questi fattori vanno ben tenuti presenti per capire l’azione politica di Tiberio, che non è un gesto puramente umanitario, ma che ha di mira una vasta ricostruzione del tessuto sociale.
Secondo il racconto del fratello Gaio, riportato dal biografo Plutarco, il giovane Tiberio, in viaggio verso la Spagna, rimase colpito dalle condizioni di desolazione in cui si trovava la Penisola: “mentre viaggiava alla volta di Numanzia (una città della Spagna) attraverso l’Etruria, vedendo che il paese era spopolato e che coltivavano la terra o pascolavano schiavi importati e barbari, allora per la prima volta cominciò a pensare a quella riforma che doveva essere per loro l’inizio di tanti mali”.
Nel 133 a.C., Tiberio, che da giovane questore aveva svolto un importante ruolo di mediatore durante la guerra in Spagna, fu eletto tribuno della plebe. Questa era una magistratura sorta agli inizi della Repubblica proprio per difendere gli interessi del popolo, ma che era venuta a costituire anche un gradino molto importante della carriera di un uomo politico. Tiberio diede inizio alla sua contrastata opera di riforma avanzando una rogatio agraria, una proposta di legge sulla distribuzione e l’utilizzo del suolo pubblico, stesa con la collaborazione di Licinio Crasso, Muzio Scevola e Appio Claudio, tre dei personaggi più autorevoli del Senato; essa riprendeva leggi già esistenti, ma fino a quel momento ignorate. Di norma, le terre conquistate da Roma durante le sue numerose guerre divenivano ager publicus, di proprietà del popolo, ma di fatto si lasciava che i privati le occupassero in cambio di un modesto canone. Quel che era accaduto era che i ricchi proprietari terrieri avevano pian pian occupato le terre, che in teoria appartenevano al popolo, sfruttandole per i propri interessi.
Tiberio proponeva, e questo non costituiva una novità, di porre un limite di 500 iugeri (uno iugero equivale a 2.500 metri quadri) ai possessi di terreno pubblico da parte di privati e di 100 capi di bestiame grosso o 500 di minuto pascolabili su questi terreni, cui si poteva aggiungere un “extra” in proporzione al numero dei figli. I terreni restanti dovevano essere ridistribuiti ai cittadini poveri e di questi lotti ridistribuiti veniva proibita la vendita, per evitare che i ricchi possessori se ne impadronissero di nuovo. Era quest’uso del terreno pubblico a fini sociali a costituire un’assoluta novità rispetto alla legislazione precedente, ma, se si pensa alla situazione della piccola proprietà, non può sfuggire l’intento, in realtà, “restauratore” di tutta l’operazione, che guardava al passato e si proponeva la ricostruzione di quel ceto di piccoli proprietari che aveva costituito la base della grandezza di Roma. Che questa fosse effettivamente l’intenzione di Tiberio, risulta dai suoi discorsi, conservatici da Plutarco e da Appiano.
La legge di Tiberio, molto gradita alla plebe, suscitò, però, una forte opposizione da parte del Senato e anche da parte di un collega dello stesso Tiberio, il tribuno Ottavio, che si era schierato dalla parte del Senato e dei ricchi latifondisti. Di fronte a questo dissenso, Tiberio cercò di persuadere il collega (ciascuno dei tribuni poteva, infatti, porre il proprio veto e bloccare di fatto l’approvazione di una legge) ma, non riuscendoci, procedette a un atto inaudito, deponendolo e facendo approvare comunque la legge dall’assemblea; fece, inoltre, costituire una commissione che curasse l’assegnazione dei lotti di terra ai cittadini poveri. Le parole con cui giustificò in seguito il suo operato suonano davvero rivoluzionare per le orecchie di qualsiasi romano: “Il tribuno è sacro e inviolabile, perché egli è consacrato al popolo e lo difende. Se, dunque, cambiando il proprio comportamento, procura danni al popolo, diminuisce il suo potere e gli impedisce di votare, si priva da sé del suo incarico, non facendo ciò per cui l’ha ricevuto”.
La deposizione di Ottavio costituiva non solo una violazione gravissima della prassi politica di Roma, ma anche un atto sacrilego, dato che i tribuni della plebe erano protetti anche dalla loro sacrosanctitas, un’inviolabilità di tipo religioso. Dietro questa azione di Tiberio si scorge una concezione del potere e della sacralità del magistrato come derivanti totalmente dal consenso popolare, che è tipica della democrazia greca, ma è totalmente estranea al pensiero politico romano che conservava sempre, anche nei momenti di maggiore “secolarizzazione”, un riferimento religioso. Essa restò, infatti, una manifestazione di pensiero “laico” ancor più rivoluzionaria delle misure sociali che voleva difendere, ma sostanzialmente isolata e senza seguito. Ben consapevole dell’ostilità che le sue proposte avevano suscitato e temendo anche per la propria vita, Tiberio cercò quindi di farsi rieleggere tribuno per l’anno successivo, in aperta violazione delle leggi. Il Senato colse al volo quest’occasione per accusare Tiberio di aspirare al potere assoluto; ne seguì un tumulto di grandi proporzioni; Tiberio, con pochi seguaci (molti dei suoi sostenitori, dopo la votazione della legge agraria erano dovuti tornare in campagna per lavorare) si rifugiò sul Campidoglio. Un gruppo di senatori, guidato dal Pontefice Massimo Scipione Nasica, prese le armi e li attaccò e tra i molti che trovarono la morte nello scontro vi fu lo stesso Tiberio, secondo la tradizione colpito alla testa con uno sgabello. Altri Graccani furono messi a morte successivamente, dopo regolare giudizio, ma l’uccisione di Tiberio e degli altri fu considerata dai popolari come l’esecuzione ingiustificata di cittadini innocenti e, nei fatti, non sembra proprio che essi costituissero un reale pericolo per lo Stato.
Nonostante la sua morte, la commissione per le assegnazioni di terra restò in funzione, anche se progressivamente resa inutile con una serie di provvedimenti legislativi. La soluzione al problema della piccola proprietà e dell’arruolamento ad essa connesso,arriverà, ma non sarà innanzitutto il frutto di un’azione politica: di fronte all’emergenza delle invasioni, il grande generale Mario otterrà di aprire l’esercitò all’arruolamento in massa di volontari nullatenenti. Saranno questi soldati, ricompensati alla fine della ferma con un lotto di terra, a ricostituire quella piccola proprietà vagheggiata da Tiberio.
Ecco qualche indicazione per chi vuole approfondire la conoscenza di Tiberio Gracco
• C. Nicolet, Il mestiere di cittadino nell’antica Roma, Editori Riuniti, Roma 1980 (opera di uno specialista, ma di piacevole lettura, sui meccanismi che regolavano la partecipazione del cittadino romano alla vita pubblica)
• G. Zecchini, Il pensiero politico romano, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997(sulle idee e la prassi politica della Roma repubblicana e imperiale)
• L. Perelli, I Gracchi, Salerno Editrice, Roma 1993
(buona e ampia monografia sull’azione dei due Gracchi, Tiberio e Gaio, con un’interpretazione in parte divergente da quella offerta qui).
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.