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Feti sotto controllo grazie a una macchina che ne misura la quantità d'ossigeno, per ridurre l'incidenza dei tagli cesarei. Che in Italia sono 150 mila all'anno

di Federico Cella

Il momento del parto, un avvenimento traumatico – sia per il pupo che per la neo mamma – ma quanto mai naturale. Una pratica millenaria che spesso nel nostro Paese viene coaudiuvata chirurgicamente con parti cesarei spesso non necessari. Arriva in questi giorni anche in Italia un nuovo macchinario medico che, testando direttamente la quantità di ossigeno presente nei tessuti del nascituro, potrà permettere esatte valutazioni sulla sua salute, evitando così il ricorso indiscriminato alla pratica chirurgica sulle madri. Il suo nome è ?Ossimetro fetale a impulsi? (FSpO2 per gli addetti ai lavori), e verrà presentato la prossima settimana a Roma, in contemporanea con tutti i Paesi europei.
Secondo gli ultimi dati provenienti dalle sale parto nazionali, in Italia ben un quarto dei bambini nasce a seguito di un parto chirurgicamente assistito: sull?oltre mezzo milione di nascite annue, ben 150 mila – pari al 27 per cento. Una percentuale, tra l?altro in tendenza d?aumento, a detta degli esperti irragionevolmente alta (l?Italia è al secondo posto nel mondo dopo il Brasile), visto e considerato che anche l?Organizzazione mondiale della Sanità indica come quota corretta per i Paesi industrializzati il 15 per cento. Tramite questa nuova apparecchiatura, messa a punto da una joint venture tra la Hewlett Packard e la Npb-Mallinckrodt, dovrebbe essere possibile ridurre del 40 per cento il numero di parti cesarei effettuati per sofferenza fetale.
Infatti la maggior parte dei parti chirurgici avviene proprio a seguito del sospetto di un?insufficiente ossigenazione sanguigna fetale, causa di possibili danni cerebrali irreparabili al nascituro. La situazione del feto nel momento del parto può essere descritta metaforicamente come quella di una persona che vuole immergersi nell?acqua in apnea. Se viene fatta una sufficiente scorta d?ossigeno nei polmoni, una volta in apnea, anche se il battito cardiaco subirà delle variazioni, il fisico comunque, ben ossigenato, non ne risentirà; così è per il neonato, immerso nel liquido amniotico a ogni contrazione uterina.
Ma la quantità d?ossigeno, fino a ora, non poteva essere monitorata direttamente, ma solo sospettata a seguito di variazioni nei tracciati del cuore del neonato; e nel caso di un battito irregolare, nel dubbio, l?ostetrico italiano spesso ha optato per il parto cesareo – anche per evitare problemi medico-legali, molto frequenti nei nostri ospedali -, anche se questo alla fine non sarebbe stato necessario.
«Prima che fosse disponibile questa nuova tecnologia non si aveva alcun mezzo diretto per accertare se un bambino fosse sufficientemente ossigenato», spiega il dottor Paolo Fusco, responsabile delle sale travaglio e parto del Fatebenefratelli di Roma. «Ci si doveva dunque basare sul monitoraggio della frequenza cardiaca; e sebbene questa costituisca un buon indice di benessere per il bambino se regolare, in realtà nel 40-45 per cento dei casi si manifesta comunque irregolare. Oggi, in questi casi incerti, è possibile utilizzare l?ossimetria e, se l?ossigenazione dovesse risultare normale, far proseguire il travaglio fino al parto naturale».
L?ossimetro fetale si presenta come una sonda non invasiva che viene fatta scivolare lungo il collo uterino fino ad adagiarsi sul capo del bambino. Da questa posizione, tramite impulsi a ultrasuoni, permette di determinare la quantità dell?ossigeno nei tessuti del nascituro, quantità che viene visualizzata su un monitor posto al fianco del letto della paziente.
La strumentazione, dunque, dovrebbe presto entrare nella pratica comune dei reparti di ostetricia italiani, dopo la sperimentazione effettuata in sei centri coordinati dal professor Giancarlo di Renzo, responsabile del Centro di medicina perinatale dell?Università di Perugia. Un?introduzione che dovrebbe anche significare la tanto auspicata inversione di tendenza sull?utilizzo dei parti cesarei.

Rivoluzione in sala parto: l’opinione di Giancarlo Di Renzo*
L?arrivo anche nel nostro Paese dell?Ossimetro fetale a impulsi comporta la prima vera rivoluzione in campo ostetrico negli ultimi 30 anni. Infatti, da quando alla fine degli anni ?60 sono stati introdotti in sala parto gli ultrasuoni e il cardiotocografo – strumento che determina sia il battito cardiaco del feto che la frequenza delle contrazioni uterine -, concettualmente non si più visto nulla di nuovo. Ora la novità, già in uso nelle sale operatorie ?normali?, è quella di poter misurare l?ossigeno anche nei neonati e dunque di poter ragionare sulla loro salute in termini diretti. Il cardiotocografo rimarrà comunque la base diagnostica del travaglio, ma in questo modo si potrà valutare la reale entità dei possibili problemi legati al nascituro. E così arrivare a eliminare drasticamente i parti cesarei non necessari, nella maggior parte dei casi causati da una cattiva valutazione del caso; mentre almeno un altro 40% di questi è dovuto alla necessità di ripraticare un cesareo a donne già operate che sono alla seconda gravidanza. L?intervento chirurgico, infatti, è da evitare nel limite del possibile, perché, oltre ad aumentare il rischio di infezioni, rischia anche di far diminuire la natalità, dato che le donne che hanno subito un cesareo sono a forte rischio della rottura dell?utero.
*responsabile Centro medicina perinatale dell?Università di Perugia

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