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Thailandia: in carcere per lesa maestà

Inizia oggi il processo a Somyot Prueksakasemsuk

di Maurizio Regosa

Un processo per lesa maestà. Accade in Thailandia dove oggi l’attivista per i diritti umani e giornalista Somyot Prueksakasemsuk andrà davanti al giudice per rispondere dell’accusa di lesa maestà. Somyot è in carcere dal 30 aprile scorso: è stato arrestato proprio per aver lanciato una raccolta di firme per  l’abolizione del reato di lesa maestà e ora rischia fino a 30 anni di carcere. L’accusa si riferisce in particolare alla pubblicazione di due articoli sulla rivista Voice of Taksin, con i quali Somyot avrebbe gettato discredito sulla monarchia.

Come lo stesso Somyot aveva più volte denunciato, l’aumento vertiginoso di casi di accusa di lesa maestà, prevista dall’articolo 112 del codice penale thailandese, nei confronti di attivisti e giornalisti ha reso la situazione particolarmente allarmante nel Paese. La legge stabilisce che «chiunque diffami, insulti o minacci il Re, la Regina, l’erede o il Reggente, deve essere punito con la reclusione da tre a quindici anni». Un’accusa che in realtà spesso viene usata per ridurre al silenzio chi si batte in difesa di diritti fondamentali per le persone e per i lavoratori. Dal colpo di stato del 2006, i casi di lesa maestà sono cresciuti del 1000 per cento, contando più di 300 persone inquisite per questo reato.

Lo scorso 1 novembre è stata rifiutata la richiesta di cauzione avanzata dal legale di Somyot, contraddicendo diverse convenzioni internazionali ratificate dalla Thailandia, nonché la stessa costituzione del Paese. Il diritto alla cauzione, infatti, può essere limitato solo in base a motivazioni gravi ed evidenti e in questo caso non è per nulla chiaro quali esse siano.

Sono ormai 6 mesi e mezzo che il giornalista è detenuto e, a quanto pare, non verrà rilasciato prima della sentenza prevista per il prossimo 4 maggio. Il calendario stilato per l’audizione dei testimoni dell’accusa sembra costruito volutamente per caricare l’accusato di oneri eccessivi, mettendo in difficoltà non solo lui e la sua famiglia, ma anche gli osservatori e i giornalisti che vorranno essere presenti e partecipare, offuscando la possibilità che si celebri realmente un giusto processo.

Diverse organizzazioni internazionali da tempo chiedono alla Thailandia di abolire questo reato. Anche le Nazioni Unite hanno sottolineato il grave rischio di violazione dei diritti umani che si corre nell’applicare una norma così vaga, in cui non è nemmeno chiaro quali espressioni ledano l’immagine della monarchia e quali no. Le conseguenze per Somyot e per la libertà di espressione in Thailandia sono così serie che l’Unione Europea ha predisposto l’invio di osservatori che vigilino sul regolare svolgimento del processo.

Campagna Abiti Puliti, insieme ad un’alleanza globale di attivisti e giornalisti per i diritti umani, garantirà la diretta video del processo, con analisi legali, foto, video e interviste esclusive. Feed costanti saranno disponibili oggi in tutte le date delle udienze su vimeo (vimeo.com/cleanclothescamp) e su twitter (http://twitter.com/#!/AbitiPuliti). Tutto il materiale prodotto sarà poi disponibile sul sito www.abitipuliti.org.

Nel frattempo sarò inviata alle autorità thailandesi una lettera preparata con 8 organizzazioni internazionali e regionali, tra cui la International Federation for Human Rights (FIDH), Article 19 e la South-east Asia Press Alliance, per chiedere che sia garantito a Somyot Prueksakasemsuk il diritto alla cauzione, che cadano le accuse a lui rivolte, che sia cambiata la legge che tratta di lesa maestà in conformità con gli impegni internazionali assunti dal Paese in tema di diritti umani e come richiesto dal relatore per le Nazioni Unite sulla libertà di opinione ed espressione, facendo cadere tutte le accuse ai vari attivisti basate su quella norma.

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