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Texas, Tonello: «Gli Usa devono fare i conti con la loro cultura della violenza»

Ieri in Texas, nella città di Uvalde, un ragazzo di 18 anni è entrato in una scuola elementare e ha sparato contro adulti e minori. «Una strage», dice Fabrizio Tonello, professore di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Padova, «che non credo scuoterà un Paese che ormai sembra aver fatto l’abitudine a queste cose. Questo è il sintomo non solo del deterioramento delle istituzioni, che non riescono a regolamentare l’uso della armi, ma anche dello spirito pubblico»

di Anna Spena

Ieri in Texas, nella città di Uvalde, 15mila abitanti, un ragazzo di 18 anni è entrato in una scuola elementare e ha sparato contro adulti e minori. Ad oggi il bilancio delle vittime è di 21 persone, 19 bambini e due adulti. Salvator Ramos, ucciso dalla polizia dopo l’attacco, frequentava il liceo della stessa città.

«Dopo dieci anni ancora una strage terribile come quella di Sandy Hook in Connecticut, quando un ragazzo di 20 anni ha aperto il fuoco all'interno della scuola elementare, causando la morte di 27 persone, 20 delle quali bambini di età tra i 6 e i 7 anni, suicidandosi prima dell'arrivo della polizia», dice Fabrizio Tonello, professore di Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Padova. «Una strage», aggiunge, «che non credo scuoterà un Paese che ormai sembra aver fatto l’abitudine a queste cose. Questo è il sintomo non solo del deterioramento delle istituzioni, ma anche dello spirito pubblico».

Negli Stati Uniti sono circa 400 i milioni di armi individuali in circolazione. Gli Stati con più armi in circolazione sono: Texas, California e Florida, che sono anche gli Stati dove si registrano più omicidi da arma da fuoco. «Ma tutta la storia degli Usa», continua Tonello, «è caratterizzata da una propensione alla violenza che non può essere solo limitata o additata alla disastrosa deregulation rispetto al possesso delle armi avvenuta negli ultimi anni».

Guardiamo al contesto recente: «c’è», spiega Tonello, «una corte suprema a maggioranza repubblicana che ha spudoratamente rovesciato l’interpretazione del secondo emendamento della Costituzione che riguarda il possesso di armi. Gli Stati Uniti sono nati senza un esercito permanente, quindi la difesa del Paese veniva affidata a una milizia chiamata in caso di pericolo: di fatto c’era bisogno di adulti che sapessero maneggiare le armi. Il secondo emendamento oggi viene interpretato invece come relativo al diritto individuale di tenersi le armi in casa. E tutte le proposte nate per regolamentare questa possibilità – dal database di possessori di armi oppure a far in modo che le armi non finissero in mano a persone con patologie psichiatriche – si sono sempre dimostrate meri palliativi. Inoltre tutte queste misure non risolvono il problema alla radice: la storia degli Usa è una storia di violenza, la storia di un Paese nato da una guerra coloniale ai danni dei nativi americani sfociata in un genocidio. Inutile farsi illusioni sul dna originario degli Usa, basti guardare i dati: in America gli omicidi confermati nel 2020 sono stati 21.500».

Quindi non si può ridurre tutta la questione solo a un fatto di legislazione migliore o peggiore: «Certo è uno scandalo che i repubblicani si oppongano alla regolamentazione sull’acquisto di armi e che i due partiti non riescano a mettersi d’accordo su niente. Ma ogni Paese ha la sua storia».

Il presidente Biden ha dichiarato: «bisogna agire e affrontare la lobby delle armi. L'idea che un ragazzo di 18 anni possa entrare in un negozio di armi e comprare due armi d'assalto è semplicemente sbagliata. In nome di Dio, a cosa serve un'arma d'assalto se non per uccidere qualcuno? I cervi non corrono nelle foreste con giubbotti di kevlar addosso. È rivoltante».

Ma «certo che andrebbe contrastata la lobby delle armi ed è vero che la politica americana è sempre stata asservita a questa», dice Tonello. «Però credo che occorra qualcosa di più incisivo. Bisogna fare i conti con una cultura della violenza che si è continuata ad esprime, per esempio, per decenni ai danni degli afroamericani. Bisogna ripartire dal rifiuto e dalla battaglia contro questa cultura, nelle scuole, nei social media, nelle fiction tleevisive, nel cinema, negli sport violenti: le culture si possono modificare, non sono un destino».

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