Politica

Testamento biologico: la legge serve davvero?

Così gli interventi al convegno dell'Associazione medici cattolici di Milano

di Sara De Carli

Si è tenuto ieri, 12 aprile, a Milano, un convegno dal titolo IL TESTAMENTO BIOLOGICO, organizzato dall’Associazione medici cattolici di Milano. Ospiti prestigiosi: Valerio Onida, Presidente Emerito della Corte Costituzionale italiana e ordinario di Diritto Costituzionale presso l?Università degli Studi di Milano; padre Carlo Casalone, gesuita, vicedirettore di ?Aggiornamenti Sociali? e Consultore del Pontificio Consiglio per la Salute e Luciano Gattinoni, Direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione presso il Policlinico di Milano.

Niente dibattito su alimentazione e respirazione, diversamente da quanto era prevedibile, e sostanziale accordo sul primato della volontà del paziente.
Gattinoni ha posto l’accento sulla futile teraphy, termine inglese per accanimento terapeutico: stando a quella definizione è accanimento intraprendere o continuare terapie di supporto vitale senza ragionavoli speranze di successo. Idratazione e alimentazione incluse. Gattinoni ha sottolienato che non intraprendere e sospendere sono atti moralmente identici, anche se psicologicamente per il medico è più difficile sospendere; ma in terapia intensiva 24 ore possono cambiare la situazione, e allora bisogna avere il coraggio di intraprendere e poi – nel caso – sospendere. La decisione problematica, per il medico, è quando il apziente non è cosciente: allora se una terapie è futile non lo può decidere il signolo medico, ma l’intera equipe. “Se uno solo dei medici non è daccordo, dice Gattinoni, preferisco prolungare di 24 ore quella che io già giudico accanimento, per la salute psichica dell’equipe”. Condivisione quindi, come parola d’ordine. Ma soprattutto, ripete più e più volte Gattinoni, “sono terrorizzato dalla legislazione, perché si codificano cose che sono in perenne divenire. Ho paura del ci vuole una bella legge: se è vaga è inutile, se entra nel dettaglio è impossibile regolamentare tutte le situazioni. Resterà sempre un margine di interpretazione del medico” e allora tanto vale riconoscerlo e puntare sull’alleanza tra medico e paziente.

Casalone ha richiamato invece al docuemnto Iura et bona del 1980, dove la Chiesa parlava di “sproporzionalità” delle cure. Un concetto che coinvolge la coscienza del paziente, attribuendogli il primato della scelta, e allo stesso tempo coinvolge il medico andando oltre una fredda valutazione probabilistica. Anche lui cita l’epikheia, la virtù di declinare la legge generale nel caso particolare. “Le dichiarazioni anticipate di trattamento sono uno strumento per accedere alla visione della proporzionalità che ha il paziente incosciente, ricordandoci però alcune cose: che la volontà del paziente cambia stando dentro la malattia, che le dat sono uno degli strumenti che aiutano il medico a decidere, le vedrei problematiche invece se fossero vioncolanti, che è importante compartecipare la decisione, restituire alla morte una dimensione sociale”.

I numerosi interventi in sala sono andati spesso nella direzione comuqnue emersa dalle relazioni: “siamo dell’idea che è meglio non legiferare”. Discutiamo, faccamo cultura – è un nodo centrale – ma siamo sicuri che serve una legge?


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