Salute

Test genomici per tumore al seno ancora sottoutilizzati. Le pazienti chiedono risposte

La battaglia delle pazienti, la risposta dei clinici:«Vi appoggiamo, voi siete più influenti». Già in regime di rimborsabilità, sono eseguiti mediamente nel 53% delle aventi diritto, in alcune regioni si viaggia su percentuali bassissime, come la Calabria che è all'1%. Se ne chiede l'inserimento nei Livelli minimi di assistenza, per evitare lungaggini inutili

di Nicla Panciera

I test genomici per stabilire il rischio di una recidiva di certi tumori al seno sono ancora poco utilizzati. Guardando alle effettive prescrizioni del test, la media nazionale è del 50%, nel primo semestre del 2023 è salita al 58%, ma con punte bassissime in alcune Regioni. Sono quindi molte le donne cui non viene data l’opportunità di evitare la chemioterapia, quando non ne trarrebbero alcun vantaggio. L’esecuzione dei test, per alcune forme di tumore al seno, è un diritto: sono, infatti, erogati in regime di rimborsabilità. Il fondo stanziato dal decreto ministeriale del 2021 è di 20mila euro, sulla base della stima che in Italia 10mila donne potrebbero averne bisogno: di questi, ne sono stati utilizzati la metà. Molte sono le criticità all’origine di questa situazione, come evidenzia Europa Donna Italia, rete di 185 associazioni di volontariato per le pazienti con tumore al seno, fautrice di una lunga battaglia, fatta di tavoli di lavoro, mappature dei vari centri senologici, iniziative verso i luoghi di cura, verso le pazienti e verso le amministrazioni locali, per l’utilizzo dei test genomici e, oggi, il loro inserimento nei livelli essenziali di assistenza Lea, che introdurrebbe un certo automatismo.

I test sono rimborsabili per tutte le donne con un tumore del seno in stadio precoce e positivo ai recettori per l'estrogeno (ER+), quindi responsivo alle terapie ormonali e negativo per HER2. Il loro inserimento si basa su robuste evidenze relative alla possibilità, in alcuni casi, di evitare la chemioterapia dopo l’intervento chirurgico, risparmiano così inutili tossicità alle pazienti e inutili spese al sistema sanitario nazionale.

Quali ragioni alla base della mancata realizzazione di un diritto? Questioni principalmente burocratiche, criticità legate all’implementazione regionale della legge, ma anche scarsa consapevolezza dei clinici. Per questo, si lavora moltissimo per informare le donne: «È basilare, infatti, che in caso di tumore al seno, tutte le donne ne siano a conoscenza e che chi ha le caratteristiche stabilite nel decreto ministeriale, ne possa usufruire, cosa che purtroppo ad oggi non accade. Ma è una realtà che deve cambiare: nessuna donna deve essere costretta a rinunciare al test genomico se rientra nei canoni previsti, perché vive nella Regione sbagliata o perché la burocrazia ne ostacola o rallenta l’assegnazione» dice Rossana D’Antona, presidentessa di Europa Donna, in occasione del webinar «Test genomici:sono davvero un diritto per tutte? Le pazienti chiedono risposte».

«I test, che hanno diversi gradi di evidenza e di raccomandazione ottenibile, misurano il livello di espressione di un gruppo di geni che permettono complessivamente di stimare il rischio della donna di andare incontro a una recidiva dopo un intervento chirurgico iniziale» spiega Lucia Del Mastro, professore ordinario e direttore della Clinica di oncologia medica dell’Ospedale policlinico San Martino Irccs, Università di Genova. Tra le ragioni del sottoutilizzo, spiega Del Mastro, c’è il fatto che spesso la decisione viene presa già al momento dell’esame istologico, quando esso è sufficiente a capire se indirizzare o meno la donna alla chemioterapia. «In Liguria, i dati dei primi 6 mesi del 2023 hanno visto un raddoppio dell’utilizzo rispetto all’anno precedente, a riprova di un certo superamento degli ostacoli, ma si conferma un sottoutilizzo rispetto alle stime iniziali».

Francesco Cognetti, presidente della ConFederazione oncologi cardiologi ematologi Foce, punta il dito contro un altro problema, quello della formazione e consapevolezza dei colleghi: «Noi qui siamo fortemente motivati dalla profonda conoscenza della problematica e dall’attività di ricerca e clinica, ma non è così ovunque. Altrimenti, non si spiegano certi dati, anche alla luce del fatto che alcuni ostacoli burocratici iniziali non ci sono più e le Regioni hanno emanato i regolamenti: ci sono Regioni che hanno performato molto bene, come la Lombardia con il 77% di test genomici effettuati, il Lazio con il 92% e per contro, altre con numeri deprimenti, come la Calabria con l’1%, il Piemonte, 14%, la Sardegna col 26%». Cognetti non usa giri di parole e ricorda l’ostacolo posto dall’esistenza di 21 sistemi sanitari, oltre alla «mina vagante dell’autonomia differenziata, con prese di posizioni anche molto forti, che finirebbe per distruggere il nostro sistema sanitario universale e solidale». A proposito dell’inserimento nei Lea, aggiunge: «Il parere positivo di Foce è stato recepito e si spera che il documento finale sia approvato entro la fine dell’anno».

I test sono inclusi nelle linee guida internazionali, supportati da evidenze robuste di studi prospettici dai lunghi follow up: «Eseguire i test è nell’interesse di tutti: sia della paziente, per il quale è un’informazione aggiuntiva che non si sostituisce al percorso standard, sia del medico, dal momento che se il test confermasse l’alto rischio, la necessità della chemioterapia nonostante la tossicità è fuori discussione» dice Valentina Guarneri, ordinaria di Oncologia medica e direttrice della scuola di specializzazione in oncologia medica, dell’Università di Padova «Spesso il risultato è quello di un rischio intermedio e la decisione sul da farsi deve essere condivisa».

«L’inserimento dei test genomici nei Lea sarebbe un passaggio cruciale. Attualmente, è ancora problematico il rimborso extraregionale per le pazienti che migrano internamente per farsi curare, andando in genere nelle Regioni del nord o dove sono presenti le breast unit, dove tra l’altro ci sono le associazioni che vigilano» dice Corrado Tinterri, direttore breast unit Humanitas e direttore scientifico Cts Europa donna Italia. «Credo che rendere operativo e accessibile come Lea il test genomico nei Centri di senologia in tutte le Regioni italiane, potrebbe garantire equità di cura a tutte le donne italiane che si ammalano di tumore al seno».

Rosanna D’Antona conclude: «Ignoranza e burocrazia non possono ostacolare il godimento di un diritto. Stiamo parlando di donne, non di numeri, quindi un sottoutilizzo del 50% per noi significa donne che avrebbero potuto evitare la chemio senza conseguenze sulla prognosi e che l'hanno fatta inutilmente». La risposta dei clinici all’appello di Europa donna è unanime: «La vostra voce, quella delle associazioni di pazienti, è più forte della nostra, le istituzioni sono più sensibili alle vostre istanze».

Photo by Pablo Heimplatz on Unsplash


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