Welfare

Terzo settore, stessa storia

di Flaviano Zandonai

Nonostante la promessa di uno dei relatori, l’indagine della fondazione Unicredit non sfata molti luoghi comuni sul terzo settore italiano. Anzi, il suo principale merito è di confermare tendenze già rilevate dal censimento Istat di fine anni Novanta e da altre ricerche. Il settore, nel suo complesso, appare dinamico sia in termini assoluti (numero di imprese, volontari, occupati) sia soprattutto in termini relativi, considerando cioè che è parte di un Paese a crescita zero ormai da decenni. Inoltre l’indagine conferma la rilevanza della segmentazione funzionale tra organizzazioni di adovacy, erogative e produttive. Con queste ultime, in particolare, che seguono una dinamica sempre più divergente dal quadro generale, tanto che se oggi si dovesse avviare una nuova indagine, sarebbe più interessante comparare l’imprenditoria sociale non profit con le imprese in generale, magari all’interno di qualche ambito particolarmente rilevante come il terziario sociale, a proposito del quale Maurizio Ferrera ne ha descritto le potenzialità in ottica “Crescitalia”. In sede di commento dell’indagine Unicredit è emerso però che non sono solo i driver dello sviluppo ad essere sempre gli stessi, ma anche le questioni politiche sul tappeto. Due in particolare: la capacità di comunicazione e di rappresentanza del terzo settore. Temi che frullano di tavola rotonda in tavola rotonda ormai da qualche anno. Sul primo punto le indicazioni più interessanti sono venute da Nando Pagnoncelli di Ipsos (che ha curato l’indagine): più attenzione a comunicare i dati di impatto ad ampio raggio in modo da far prevalere il proprio approccio valoriale contro il pragmatismo microdecisionale che ha monopolizzato la politica degli ultimi anni. Sul secondo punto gli stimoli più efficaci sono stati quelli di Oscar Giannino che ha sottolineato la necessità di attivare nuove partnership tra terzo settore e mondo economico e della finanza bypassando la politica. Tutto ciò a partire da una rinnovata capacità di rappresentanza, meglio di rappresentazione, di bisogni intorno ai quali creare consenso rispetto al loro carattere di “interesse collettivo”. Il messaggio, a questo punto più volte ripetuto e pure non da tecnici del settore, sarà giunto a destinazione? Ad essere ottimisti si potrebbe dire che è arrivato distorto, come quando si gioca a passaparola. Per verifica basta guardare al lancio del nuovo Rapporto Auser su enti locali e terzo settore: “Il welfare in Italia è sempre meno pubblico. Il terzo settore sempre più coinvolto e sostitutivo nella gestione dei servizi sociali”. Insomma un terzo settore che appare sostitutivo e agente di privatizzazione del welfare. E la sussidiarietà? L’innovazione sociale? La partnership?. Insomma una rappresentazione e una comunicazione di sé che confermano quanto sia ancora molto il lavoro da fare.

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